Inattesa, forse insperata, la notizia della liberazione di Silvia Romano arriva un sabato pomeriggio di maggio, uno dei tanti tutti uguali dall’inizio di questo lockdown.
Abituati, nelle ultime settimane, a fare i conti con contagi, morti, mascherine, respiratori, proiezioni di Pil in picchiata, ci ha destato da un certo torpore il tweet di Giuseppe Conte: “Silvia Romano è stata liberata! Ringrazio le donne e gli uomini dei servizi di intelligence esterna. Silvia, ti aspettiamo in Italia!”.
Era il 19 novembre 2018, quando la giovane cooperante milanese fu rapita da un gruppo di uomini armati, mentre si trovava a Chakama, una località nel sud-est del Kenya, a circa 80 chilometri da Malindi.
Si trovava in quel villaggio per lavorare a un progetto educativo per i bambini con l’organizzazione non governativa Africa Milele.
Poi di lei nessuna notizia per un anno, fino allo scorso novembre, quando le indagini la davano trasferita in Somalia, tenuta prigioniera da un gruppo islamista legato all’organizzazione terroristica al-Shabaab. Poi ancora tanto silenzio, fino a oggi, quando nella sua Milano risplendeva un sole caldo.
“Sono stata forte e ho resistito. Sto bene e non vedo l’ora di ritornare in Italia”, sono queste le prime parole di Silvia, riportate dalle agenzie di stampa e noi, che abbiamo imparato a conoscerti solo in foto, sorridente e vitale, attorniata da tanti bimbi, non stentiamo a crederlo.
In questi mesi, tante sono state le mobilitazioni e le iniziative per chiedere la tua liberazione e anche per proteggerti da sterili commenti di taluni che dicevano che te la fossi cercata, spazzati via da chi non ha smesso di pensarti e da chi, alla fine, ti ha cercata e ti ha trovata.
Atterrata all’aeroporto di Ciampino, Silvia ha riabbracciato la sua famiglia, la mamma e la sorella, seguite da papà Renzo che aspettava di vedersela davanti per poterci credere, “lasciatemi respirare, devo reggere l’urto”, aveva detto ieri all’Ansa, “Finché non sento la voce di mia figlia per me non è vero al 100%”.
Oggi finalmente l’incredulità si è trasformata in gioia e, in attesa di rivederla, gli abitanti del suo quartiere Casoretto si sono affacciati dai balconi per condividere la bella notizia, tra canti e applausi.
Purtroppo, il commosso sospiro di sollievo per la sua liberazione, in meno di 24h, deve già reggere l’urto di chi vorrebbe apporci qualche “ma”, per la scelta di rimanere vestita con abiti tradizionali somali, la possibile conversione all’Islam, il costo del riscatto.
Considerazioni che poco hanno a che fare con te che avrai tempo e modo di riappropriarti della tua vita nelle forme che vorrai scegliere e con noi che ti abbiamo aspettata per tanto tempo.