Brasile, 2019- Jair Bolsonaro, figura di spicco dell’ultradestra brasiliana, non ha mancato di tener fede alle promesse fatte durante l’intera campagna elettorale che tanto hanno ammaliato la maggioranza della popolazione brasiliana, al punto da conquistarne la fiducia e il consenso che gli hanno permesso di diventare all’inizio dell’anno il nuovo presidente del Brasile.
Subito dopo il suo insediamento, a nemmeno ventiquattro ore di distanza dalla cerimonia ufficiale, Bolsonaro ha infatti emanato un decreto in cui le sue posizioni (e non solo sue) riguardo alle sorti delle riserve naturali amazzoniche hanno preso forma e attuazione. Egli aveva promesso che si sarebbe occupato anche degli Indios che in quelle riserve vivono da sempre e da sempre se ne preoccupano, e così è stato, dal momento che il decreto prevede ufficialmente la sottrazione della gestione dei confini delle riserve naturali amazzoniche all’ente di tutela dei nativi (FUNAI) e la conseguente assegnazione al ministero dell’Agricoltura presieduto da Tereza Cristina, leader del gruppo parlamentare che rappresenta politicamente gli interessi delle lobby agricole.
Un’apertura delle terre a favore dello sfruttamento agricolo in nome di interessi privati ed economici a cui però si lega la minaccia concreta della violazione di diritti civili delle minoranze indigene, per esempio a partire dai futuri tagli alla spesa annunciati per la loro assistenza sanitaria.
Non solo: a seguire, tramite un ulteriore provvedimento, si è stretta la corda anche attorno al collo di quelle ONG ambientaliste, WWF e Greenpeace per prime, che per Bolsonaro controllano e manipolano le comunità indigene ma che sono nate e ancora oggi lottano strenuamente per difendere il nostro pianeta.
Un quadro normativo e purtroppo anche reale, perfettamente in linea e coerente con l’atteggiamento xenofobo, nazionalista, capitalista e negazionista riguardo ai cambiamenti climatici che ha fatto guadagnare a Bolsonaro il soprannome di “Trump Tropicale” e che purtroppo, se analizzato più nel profondo, evidenzia un fenomeno sempre più diffuso non solo tra i potenti in Brasile, negli Usa, ma in tutto il mondo.
Se non fosse che la foresta amazzonica, ultimo vero grande polmone verde del pianeta, e con lei il suo futuro, per quanto la si possa vedere geograficamente tanto lontana e da uno sguardo persino individualista, ci riguarda tutti. Potenti e non. Perché in fondo, lo sanno bene gli Indios e lo sappiamo bene anche noi che senza aria, senza benessere (ambientale e sociale), senza la cura attenta e profonda per dove e con chi viviamo, non si respira e non si vive a lungo.