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“La diversità ci rende eguali” è il motto dell’Onda Pride, che è bello sentir riproporre in apertura agli eventi previsti per il Gay Pride 2020. Persuasi che la liberazione dai pregiudizi sia anche libertà dell’immaginazione, raccogliamo un suggerimento di Lella Costa per presentare un messaggio sul valore della differenza trasmesso attraverso un cartone animato.
Il 17 maggio 2019, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, Lella Costa aveva realizzato assieme alla filosofa e accademica Nicla Vassallo un breve video sui temi della famiglia e del matrimonio fra persone dello stesso sesso. In quel contesto aveva ricordato Lilo & Stitch, un film di animazione del 2002, primo di una fortunata serie di Walt Disney Pictures, nel quale viene rappresentata una particolare famiglia arcobaleno, che annovera fra i suoi componenti addirittura un extraterrestre. Quando alla fine del film arriva l’astronave che vorrebbe riportare a casa il protagonista, l’animaletto extraterrestre si rifiuta, protestando di aver ormai trovato la sua famiglia: “Questa è la mia famiglia. L’ho trovata per conto mio: è piccola e disastrata ma bella. Davvero bella”.
Nelle difficoltà in cui ci si imbatte per trovare una definizione di famiglia (naturale? non naturale? nelle isole Samoa? oggi? E per gli antichi greci?), il piccolo extraterrestre ci viene in aiuto: per lui ohana, famiglia in lingua polinesiana, “vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato”.
“Se anche la Walt Disney” – l’attrice e scrittrice aveva fatto notare in altra occasione (cfr. smALLchristmas. Natale in famiglie a geometria variabile, CinqueSensi Editore, Lucca 2014) – “grande, universale e trasversale multinazionale dell’entertainment, fa dire al personaggio di un cartone animato qualcosa del genere, significa che quella cosa lì è già arrivata e sedimentata nella vita delle persone”.
La piccola Lilo, prima di incontrare l’Esperimento 626 il cui nome terrestre sarà Stitch, vive con la sorella maggiore Nani nell’isola hawaiana di Kauai, in Polinesia. Sul nucleo familiare composto solo dalle due sorelline orfane pesa l’incubo di un corpulento e misterioso assistente sociale che potrebbe decidere che Nani è inadeguata a occuparsi di Lilo e Lilo starebbe meglio in orfanotrofio. Lilo d’altronde è una bambina fantasiosa e vivace, che non socializza con le compagne di scuola e di danza e combina un sacco di guai. In realtà ama la compagnia, la danza e vuol bene a tutti ma, troppo spontanea e un po’ confusa, non viene capita e accettata. Prenderà con sé Stitch prelevandolo da un canile, poiché era stato scambiato per un cane (uno strano cane…).
In una storia di pericolose e buffe avventure, in terra, in mare e nello spazio, che è insieme una storia di affetto, Lilo riuscirà, con i modelli di Elvis Presley, grande esempio per lei, e della fiaba del brutto anatroccolo, ad addomesticare Stitch, piccolo essere aggressivo e crudele, nato in certo modo per sbaglio (anche qui abbiamo motivo di riflessione) nel laboratorio di un lontano pianeta abitato nella galassia. Alla fine riusciranno a rimanere insieme Lilo, Stitch, Nani e David, il ragazzo che vuol seguire Nani nel corso delle avventure incontrate per la necessità di tener dietro all’irrequieta sorellina.
Le figure femminili nel film richiamano le donne polinesiane di Paul Gauguin. Il film nasce da un’idea di Chris Sanders; a lui soprattutto si devono il design dei personaggi e la scenografia. Dean DeBlois, che aveva già realizzato la sceneggiatura di Mulan (1998) con Chris Sanders, prestò la sua sperimentata collaborazione anche per sceneggiare e dirigere Lilo & Stitch. Sanders e DeBlois decisero di usare sfondi dipinti ad acquerello. Gli acquerelli erano stati utilizzati per i primi cortometraggi Disney di animazione, così come per i primi classici Disney come Biancaneve e i sette nani (1937) e Dumbo (1941).
Stitch può ricordare Dumbo, l’elefantino deriso, preso di mira da un gruppo di ragazzi, emarginato per le sue orecchie enormi, ma che grazie a quelle lunghe orecchie può volare e, capace di librarsi in cielo, raggiungerà un successo straordinario. Meno rappresentato di altri famosi cartoni di Walt Disney, Dumbo è un film di interesse inesauribile. Dopo aver immerso la proboscide in un mastello di legno (all’epoca non era in uso la plastica) dove i clown del circo avevano versato una bottiglia di champagne, l’ubriacatura lo fa cadere in un vortice di immagini psichedeliche sorprendenti, che precorrono di almeno vent’anni la sovversione artistica della Beat Generation.
Le differenze nel disegno e nella complessità del personaggio fra il dolce elefantino Dumbo dagli ingenui occhi azzurri e Stitch, il piccolo animaletto aggressivo progettato per distruggere, uscito da un laboratorio ipertecnologico sperduto nella galassia, ci fa realizzare quanto tempo, quasi un secolo, sia trascorso fra i due protagonisti. Tuttavia in entrambi i lungomentraggi è presente l’idea dell’amore come scoperta gioiosa e accettazione dell’altro nella sua unicità. L’amore non può essere ingabbiato e soffocato in schemi rigidamente stabiliti a priori. Solo per la tensione drammatica di eros ci è dato riconciliarci con noi stessi e con la realtà. Ricordiamo la “spontanea naturalezza”, secondo le parole di Pier Vincenzo Mengaldo, dei versi di Sandro Penna: Fuggono i giorni lieti / lieti di bella età / Non fuggono i divieti / alla felicità.
Eugenia Marcantoni