Il 2012 segna l’inizio della corsa all’oro nell’Africa saheliana a causa della scoperta di una ricca vena aurifera che si estende dal Sudan fino alla Mauritania, passando per Niger, Mali e Burkina Faso.
Con quella scoperta iniziò un rapido processo di cambiamento nei rapporti di forza e nella sicurezza dei paesi dell’intera regione.
Una delle miniere si rivelò così ricca da aver fruttato milioni di dollari ai suoi proprietari nel giro di pochi anni. Fu soprannominata “Svizzera”.
Sono state estratte 93 tonnellate nel 2018, secondo dati ufficiali – lavorando con strumenti manuali, senza nessuna garanzia di sicurezza, né personale né per il metallo estratto, a rischio della stessa vita dei lavoratori.
Si sono rapidamente diffuse nella zona armi, droga, alcool, prostituzione.
Secondo una ricerca del Sudan Democracy First Group (Gruppo per la democrazia prima di tutto in Sudan) intitolata The politics of mining and trading of gold in Sudan: challenges of corruption and lack of transparency , chi ha approfittato della situazione fornendo controllo del territorio e protezione in cambio di una forzata partecipazione all’affare, sono state le milizie già operanti nell’area.
Anche nei paesi dell’Africa Occidentale si gioca una partita simile. In un rapporto pubblicato il 13 novembre, intitolato Getting a grip on central Sahel gold rush l’International Crisis Group, autorevole centro studi sulle dinamiche dei conflitti, dice che in Mali, Burkina Faso e Niger, “fin dal 2016 gruppi armati hanno preso il controllo dell’estrazione dell’oro nelle zone dove le istituzioni statali sono deboli o assenti”. Anche in questi paesi i gruppi armati, compresi quelli jihadisti, si sono avvantaggiati della mancata regolamentazione dell’estrazione del prezioso metallo fatta con metodi tradizionali. Il rapporto dice che almeno 2 milioni di persone sono impegnate in un settore in cui il 50-60% della produzione non è regolamentata e avviene in zone remote. Secondo valutazioni credibili, sarebbe tra le 20 e le 50 tonnellate in Mali, tra le 10 e le 30 in Burkina Faso, tra le 10 e le 15 in Niger, per un valore complessivo stimato tra 1,9 e 4,5 miliardi di dollari.
Gli stati saheliani rischiano di veder crescere in numero e in forza i gruppi armati che già agiscono sul loro territorio se non saranno in grado di regolamentare in modo stringente l’estrazione dell’oro e il suo commercio. È prevedibile inoltre che aumentino i traffici criminali – di armi e di droga soprattutto – che le risorse ricavate dal prezioso metallo possono facilmente alimentare. Particolare attenzione va riservata all’uso che ne potranno fare i gruppi terroristici che agiscono ormai sempre più impunemente nei paesi della regione saheliana, nonostante la presenza delle forze dell’Onu e di vari stati occidentali. Potrà essere incrementato il reclutamento, garantendo salario e benefit a giovani che non hanno altro modo per lavorare. Potrà anche essere perfezionato l’addestramento, con l’utilizzo degli esplosivi necessari al lavoro minerario.
Ruolo fondamentale nello stroncare il traffico hanno anche gli importatori d’oro dalla regione. I maggiori sono Dubai, la Cina e la Svizzera. A loro in particolare l’ICG chiede di rafforzare l’impianto legislativo che regolamenta l’importazione del metallo nei loro paesi, in modo da contribuire a tagliare le risorse dei gruppi armati e di quelli jihadisti che sono un pericolo crescente per la sicurezza di una vasta regione dell’Africa e, si può a ragione dire, del mondo intero.