Lesbo, l’isola dei giusti. Storie di straordinaria banale umanità.
Il da
“Dov’è l’umanità?, dov’è la società?, dov’è l’amore?”. L’ultimo libro di Daniele Biella – L’isola dei Giusti. Lesbo, crocevia dell’umanità – si conclude con queste ancestrali domande, che nel suo racconto sembrano trovare risposta e dimora in una piccola perla dell’Egeo chiamata Lesbo.
Su quest’isola che dista poco più di sei chilometri dalle coste della Turchia, l’umanità si manifesta, da anni, nel lavoro quotidiano di tanti cittadini, che ogni giorno si prodigano nell’aiutare chi arriva dal mare, per scappare da guerra e fame. I protagonisti sono persone normali, le loro vite hanno seguito percorsi diversi, alcuni dolorosi, altri più fortunati. C’è chi a Lesbo è capitato per caso, chi ci ha vissuto una vita intera e chi dopo tanto girovagare l’ha scelta per inventarsi una nuova esistenza. Si chiamano Emilia, Stratos, Eric, Melinda, Christoforos, Daphne, Efi.
Alcuni dei volti di questi “7 Giusti” ci sono già familiari, diventati loro malgrado testimoni di accoglienza, attraverso i reportage dei media internazionali che si sono avvicendati sull’isola per raccontare, tra la fine del 2014 e l’inizio del 2016, l’imponente sbarco di rifugiati, giunti stremati e senza prospettive, sulle coste di Lesbo. C’è chi addirittura, come Emilia, 86 anni, figlia lei stessa di immigrati, scappati dalla Turchia nel 1922, è stata candidata al premio Nobel per la Pace, e come lei il pescatore Stratos.
Il loro merito? Quello di non essersi voltati dall’altra parte di fronte a migliaia di persone restituite dal mare vive o morte, in cerca di dignità. Oggi, gli sbarchi a Lesbo sono molto diminuiti ma nei mesi di massimo flusso sono transitate oltre 600 mila persone su un’isola di 80.000 abitanti. Non è stato semplice, non tutti gli isolani hanno scelto di fare la loro parte, ma alla fine a prevalere è stata la filoxenia, il senso di ospitalità, più forte di un’Europa inerme, in balia di un allarmismo ingiustificato, cifre alla mano, per un’invasione che non esiste.
Ancora una volta Daniele Biella ci propone la sua scrittura limpida e sincera, il migliore dei veicoli per raccontare un mondo tanto complicato. Pur non avendone l’ambizione, il suo libro ha qualcosa di molto simile a un libro di formazione. Arriva diretto al cuore ma di buonismo neanche l’ombra. Parla di vita, dell’umanità messa in pratica che, almeno per un attimo, sa mettere in scacco incapacità e opportunismi politici, visioni miopi, paure infondate, divisioni culturali o religiose.
Il capitolo dedicato a Melinda, australiana di nascita, che nel suo ristorante The Captain’s table accoglie indistintamente turisti, migranti, profughi o refugees, inizia con una breve quanto significativa storia: una ragazza vede sulla spiaggia migliaia di stelle marine. Sa di non poterle salvare tutte ma per ognuna delle stelle marine che riuscirà a rimettere in acqua avrà fatto la differenza.
Lo stesso vale per Daniele Biella, per i suoi protagonisti e per i tantissimi volontari senza nome che ancora oggi si avvicendano sull’isola. Così piace pensare che, come Christoforos, il prete di Lesbo venuto dalla California, che da piccolo ha imparato sui libri a stare dalla parte dei più deboli, un giorno un bambino troverà per caso L’isola dei giusti sullo scaffale di una biblioteca e capirà il significato di RESTARE UMANI.