L’idea di scrivere un libro sul tema delle violazioni dei diritti umani in relazione all’omosessualità e all’orientamento sessuale affonda le sue radici nel terzo millennio. Era il mese di giugno 2000 e da Torino ricevetti una telefonata dall’allora presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, che mi chiedeva la disponibilità a condurre e a partecipare a una tavola rotonda/dibattito sul tema dei diritti connessi all’omosessualità. Fui molto lusingato dalla richiesta (a quella giornata, se non ricordo male, avrebbero partecipato esponenti politici, di ong, intellettuali e ricercatori di alto profilo intellettuale e professionale), ma già qualche minuto dopo fui assalito dal panico. Ringraziai per la proposta ma chiesi qualche giorno per decidere.
L’8 luglio di quell’anno si sarebbe celebrato a Roma il World Gay Pride e il clima politico era abbastanza surriscaldato perché, sempre nel 2000, si stava celebrando il Giubileo indetto da papa Giovanni Paolo II. L’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, in un’audizione in Parlamento e in risposta a un’interpellanza di Alleanza Nazionale che chiedeva di impedire lo svolgimento della manifestazione a Roma, così rispose: “È inopportuno ma non possiamo vietarlo”.
Il presidente del Consiglio non poteva fare nulla perché la Costituzione garantisce il diritto a manifestare ma, fuori dal contesto costituzionale, non nascose la propria opinione personale e, durante il question time alla Camera, affermò: “Ho la preoccupazione che una manifestazione del genere sia inopportuna nell’anno del Giubileo e che sarebbe meglio farla in un anno diverso” (La Repubblica, 20 maggio 2000). Le prese di posizione di Amato furono, per così dire, sollecitate dall’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinale Camillo Ruini che scese in campo chiedendo espressamente che la manifestazione fosse vietata, e chiedendo a tutti i politici (non a caso!) di schierarsi pro o contro le sue pretese circa la riuscita dell’evento. Il presidente del Comitato Italiano del Giubileo Monsignor Angelo Comastri affermava: “Ma di quale orgoglio parlano gli omosessuali? Orgoglio di chi? Per che cosa? La verità, invece, è un’altra: manifestazioni come il World Gay Pride non dovrebbero essere mai autorizzate, tantomeno durante il Giubileo” (La Repubblica, 25 maggio 2000).
Va detto che la grande e partecipata manifestazione (io c’ero in compagnia di uno dei miei fratelli, di mia sorella e di alcuni amici romani, tutti eterosessuali), fu preceduta da una decina di giorni piena di iniziative culturali, artistiche, politiche. Furono organizzate rassegne cinematografiche e teatrali, mostre, dibattiti, presentazioni di libri e incontri con gli autori che stimolarono un grande dibattito pubblico (talvolta anche con toni troppo accesi sia da una parte che dall’altra) sulla carta stampata e in televisione. Il clima mi appariva terribilmente surriscaldato e io mi sentivo inadeguato al ruolo che avrei dovuto svolgere, anche in virtù del fatto che gli altri interlocutori erano (o così mi apparivano) di un’altissima levatura intellettuale. Certo, avrei potuto studiare e documentarmi su tutto il materiale e la posizione di A.I. ma non mi sentivo pronto. Dopo qualche giorno richiamai il presidente di A.I. e declinai l’offerta, nonostante lui avesse fatto il possibile per convincermi che sarei stato in grado di ben presentare il punto di vista di A.I.
La terminologia utilizzata nel testo (i termini persona lesbica, omosessuale, bisessuale e transgender) è stata mutuata dai documenti prodotti da A.I. e dalla letteratura internazionale in materia di diritti umani. L’uso di questa terminologia non intende categorizzare o schematizzare le persone all’interno di un’identità che per alcuni può cambiare nel tempo e nello spazio, e non intende neppure ignorare o mostrare mancanza di rispetto per la diversità dei termini che vengono scelti dalle persone per descrivere il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere.
Sono iscritto ad A.I. da molto tempo (faccio parte del gruppo 11 di Milano) e all’interno dell’organizzazione ho ricoperto diversi incarichi, occupandomi di temi e campagne che via via mi entusiasmavano. In quegli anni la mia vita correva troppo veloce e decisi che a parte il lavoro e la mia famiglia il poco tempo che mi avanzava lo avrei dedicato solo ad A.I., perché questo alimentava la mia speranza per un mondo migliore. “Una persona speranzosa crede nella possibilità di un futuro cambiamento e miglioramento: senza speranza fare uno sforzo può sembrare inutile…la speranza contiene un elemento affettivo di natura combattiva… senza speranza non è possibile superare la tentazione di restare attaccati ad un passato che non esiste più… la speranza è strettamente connessa alla capacità di mobilitare delle risorse…” (Messaggio di S.E. Cardinale Angelo Scola per la 17ma Giornata Mondiale della Salute Mentale 2009).
Quando mi iscrissi ad A.I. fui folgorato, come san Paolo sulla via di Damasco (non appaia irrispettoso e irriguardoso il mio accostamento all’apostolo), dal tipo di lavoro accurato, preciso, puntuale e imparziale che questa associazione svolgeva. Ma negli anni subito dopo il World Gay Pride di Roma anche questo non mi aveva aiutato a trovare una quadra per decidermi a scrivere. Mi ero anche riavvicinato a Dio (dal quale, in verità non mi ero mai allontanato definitivamente) e intrapresi diversi cammini di approfondimento spirituale. Nell’ultimo decennio anche la Chiesa Cattolica è stata attraversata da grandi sacerdoti testimoni concreti del Vangelo e pronti ad accogliere, confortare e sostenere persone omosessuali, sospendendo il giudizio e convinti che solo nella parola di Gesù Cristo si può trovare – per chi ha fede – l’Amore che consola, che scalda e che accompagna. Arroccarsi sul concetto di tradizione credo non aiuti molto lo sviluppo di un confronto ampio e sereno, se pur complesso e articolato.
La tradizione, che io considero una categoria fluida, è anche sedimentazione, nel tempo, di un processo costante frutto dell’anima sociale fatta di pensieri, di sentimenti, di espressioni artistiche e normative, di credenze religiose e di mediazioni sociali in una continua tensione generativa. La Pastora della Chiesa Evangelica Valdese di Milano a proposito della tradizione afferma: “Molto spesso le chiese cristiane, avendo perso la novità del primo insegnamento di Gesù, sono tra le istituzioni più conservatrici del nostro tempo. La difficoltà di cambiamento che le contraddistingue paralizza, a volte, l’attualità stessa della predicazione dell’Evangelo che rimane ancorata a tradizioni capaci di attestare lo stato delle cose di questo mondo, perdendo quell’effetto, proprio della predicazione, di scardinare i consueti scenari di vita…Vivere nel regno di Dio per Gesù significava, e lo significa tutt’ora, vivere la fede scorporata dagli antichi rituali genuflessi alla tradizione in favore della novità concreta e continuamente aggiornata dell’evangelo della grazia…”(Circolare della Chiesa Valdese di Milano, anno 92, numero 4, 4 gennaio 2016, Il nuovo e… il vecchio).
I temi quali il riconoscimento delle coppie di fatto, l’omogenitorialità, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’omofobia ecc. dominavano, e ancora continuano a essere presenti del dibattito pubblico italiano e internazionale. Negli anni, poi, avevo conosciuto anche la prima coppia omosessuale maschile benedetta dal pastore della Chiesa Evangelica Valdese di Milano (due persone unite da un vincolo saldo che vivono insieme condividendo la loro quotidianità con amore e passione l’uno per l’altro), e alcune coppie omogenitoriali maschili con i loro figli al seguito (le cosiddette famiglie arcobaleno). Ma dopo aver ascoltato i dibattiti (talvolta fin troppo infuocati di una parte e dell’altra), dopo aver letto alcuni testi, dopo aver incontrato persone che vivevano con fatica ma con tenacia e perseveranza una condizione di assoluta normalità, freschezza e vivacità, forse il mio orizzonte di senso si stava chiarendo. Per tematizzare una questione molto dibattuta e che apriva nuovi scenari di riflessione giuridica, antropologica, sociologica, filosofica e religiosa avrei utilizzato la sguardo di A.I.: attraverso gli occhi di questo grande movimento internazionale che avevo conosciuto e apprezzato – e di cui sono orgoglioso di far parte – avrei iniziato l’avventura della scrittura di un testo che avrebbe offerto, nella sua parte centrale e più consistente, la prospettiva dei diritti così come sono sanciti in tutti i trattati internazionali in materia di diritti umani e in special modo nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Inoltre, in qualche modo mi sembrava un atto dovuto nei confronti del quotidiano lavoro di milioni di attivisti di A.I. e di tutte le persone che non possono godere degli stessi diritti di cui posso godere nel mio paese, non ultimo quello di poter scrivere un libro anche tematizzandolo con alcune riflessioni personali.
L’introduzione del saggio è stata scritta da una famiglia omogenitoriale maschile. Nel primo capitolo sono presentate alcune tracce della storia dei diritti e nel secondo viene avviata una riflessione sui temi dell’odio, del pregiudizio e della criminalizzazione. Il terzo capitolo offre una riflessione sull’amore come scelta privata, come diritto e come riconoscimento di sé nel mondo. Nel quarto capitolo viene presentato il punto di vista di A.I. e nel quinto sono presentati i casi (le storie) su alcune delle tematiche dell’organizzazione internazionale (pena di morte, tortura/trattamenti crudeli, inumani e degradanti, processi equi e tempestivi, libertà d’espressione, diritto al più alto standard di cure sanitarie ecc.). Nel sesto capitolo viene affrontato il tema dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. In appendice sono riportati i seguenti documenti internazionali: I Principi di Yogyakarta, la Dichiarazione Universale Diritti Umani, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.
Il saggio è stato patrocinato da A.I. con questa motivazione: “Per aver approfondito in modo efficace, sotto diversi punti di vista, la tematica LGBTIQ con l’intento di andare oltre ogni discriminazione attraverso la conoscenza, contrastando ignoranza e pregiudizi”. Tutti i diritti d’autore sono devoluti ad A.I.: un atto d’amore verso un’organizzazione che ha contribuito a fare di me un uomo migliore.
Carlo Scovino
Love is a Human Right
Rogas Edizioni, Roma, 2016