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“L’Italia gestisce il fenomeno dei flussi migratori da Paesi che non fanno parte dell’Unione europea attraverso politiche che coniugano l’accoglienza e l’integrazione con l’azione di contrasto all’immigrazione irregolare. L’ingresso nel territorio dello Stato è consentito ai valichi di frontiera a chi è in possesso di passaporto o documento equivalente, e del visto. Lo Stato programma periodicamente con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, il cosiddetto ‘decreto-flussi’ introdotto dalla legge n.40/1998, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio italiano per lavoro subordinato e autonomo. La normativa prevede anche l’ingresso per lavoro in casi particolari (articolo 27 del Testo unico sull’immigrazione).”
Questo è quanto riporta il sito del ministero dell’Interno, con aggiornamento al febbraio del 2017. Ma cos’è il decreto flussi? Si tratta di un provvedimento che ogni anno viene pronunciato dal ministero degli Interni con cui si regolano le quote di ingresso dei cittadini stranieri non comunitari per motivi di lavoro subordinato, autonomo o stagionale. Vengono solitamente immessi nel flusso i cittadini di Paesi che hanno rapporti particolari con l’Italia.
A seguito della pubblicazione del decreto flussi e nei tempi previsti dalla legge, il datore di lavoro o il cittadino straniero stesso devono presentare richiesta di nulla osta al lavoro allo Sportello Unico per l’Immigrazione competente. Senza nulla osta non può essere rilasciato il visto per l’ingresso in Italia. Senza nulla osta, dunque, non si può arrivare in Italia come cittadini stranieri extracomunitari immigrati regolari.
Dal 2017 al 2019 sono stati aperti i flussi per 30.850 lavoratori stranieri non comunitari. Gli unici che, a seguito del rilascio di eventuale nulla osta, sarebbero potuti entrare come immigrati regolari nel nostro Paese. E gli altri? Gli altri tentano la sorte e sono sottoposti alle decisioni del Viminale. Dal 2013 a oggi si sono succeduti 3 ministri degli Interni e altrettanti modelli di politiche migratorie.
Era il 3 ottobre 2013, 368 persone morivano in mare, nel canale di Sicilia. Il 18 ottobre 2013 l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, mosso dall’opinione pubblica sconvolta per tutti quei morti, lanciava l’operazione Mare Nostrum che sarebbe rimasta attiva fino al 31 ottobre dell’anno successivo salvando circa 150mila persone con l’impiego di 900 militari al giorno.
Dopo Mare Nostrum è arrivata Triton, che ha coinvolto 20 Stati membri dell’Unione europea, ma già l’allora direttore di Frontex, Gil Arias Fernandez aveva sottolineato come “le agenzie della UE non possono sostituire gli Stati membri nella responsabilità di controllare le frontiere”.
Nel 2016 ad Alfano subentra Marco Minniti che impone un codice di condotta alle ONG presenti nel Mediterraneo e attive nelle operazioni di “search and rescue” ma, soprattutto, stringe accordi con la Libia per non far partire i migranti da quelle maledette coste. E in effetti, questa politica ha dato i suoi effetti, in termini numerici: mentre dal 2014 al 2018 sono arrivati ogni anno in Italia circa 100mila migranti, nei primi cinque mesi del 2018 ne erano sbarcati solo 13 mila.
Ma qual è il prezzo da pagare per chi resta in Libia? Più volte si è sentito parlare dei lager libici e chi ce la fa, chi può partire e riesce ad attraversare quel maledetto mare, racconta cose atroci: prigionia, ricatti, torture, sevizie ben visibili da cicatrici nel corpo e nell’anima.
E il 2019? Quest’anno è iniziato nel segno dei proclami sulla difesa dei confini della patria e delle frasi a effetto, in linea con quanto il nuovo ministro dell’Interno Matteo Salvini ha messo in atto sin dalle prime settimane di attività del governo Conte: una chiusura praticamente totale nei confronti dei migranti.
La prima azione di forza è avvenuta nel giugno del 2018, quando Salvini ha chiuso i porti lasciando in mare centinaia di persone, e va avanti ancora oggi. Con il Ddl 840/2018, il decreto su sicurezza e immigrazione, il ministro Salvini ha abrogato la protezione per motivi umanitari lasciando sostanzialmente nell’illegalità centinaia di persone che, in questi giorni, sono state espulse dai centri di accoglienza, come il CARA di Castelnuovo di Porto.
Questo centro di accoglienza salito agli onori della cronaca in questo gennaio 2019 occupa 12mila metri quadrati, si trova a 54 chilometri da Roma e ospita centinaia di migranti che sono stati dichiarati irregolari ed espulsi senza un altro luogo dove andare: bambini che non potranno più frequentare le scuole, fratelli separati, lavoratori costretti a trasferirsi lontano dal loro luogo di lavoro.
Per fortuna molte persone hanno dato la propria disponibilità a ospitare in casa loro quelle persone. Ma fino a quando la buona volontà dei cittadini potrà supplire ai danni provocati da certe politiche? Perché se è vero che gli arrivi sono diminuiti, che fine fanno tutti coloro che partono? Solo nell’ultimo naufragio, avvenuto tra il 25 e il 26 gennaio, sono morte 120 persone a bordo di un gommone fatiscente che, all’improvviso, ha iniziato a sgonfiarsi in mezzo al mare.
E coloro che non riescono a partire? Anche le foto degli orrori dei lager libici continuano ad arrivare e a diffondersi in rete. Torture, maltrattamenti, molestie che si fatica anche ad ascoltare. I flussi migratori sono costanti e in aumento, i nostri Paesi fanno fatica a sostenerli, ma la domanda è: chi sono le vere vittime?
Luisa Casanova Stua