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Il contesto
Il Qatar nel 2019 è uscito dall’OPEC, l’associazione degli esportatori di petrolio, passando dal predominio nel petrolio a diventare leader mondiale dell’esportazione di gas naturale liquefatto. La storia moderna del Qatar inizia però nell’Ottocento, quando salì al potere la famiglia al Thani, che da allora, e fino a oggi, governa il paese come una monarchia assoluta.
Nel 1847 Mohammed bin Thani divenne il primo sovrano del paese, anche se per decenni fu costretto a condividere il potere con i potenti stati che operavano nella regione. Gli al Thani furono costretti dapprima a sottomettersi all’impero ottomano nel 1871 (ma continuarono a governare in nome degli ottomani); in seguito, dopo la fine della prima guerra mondiale, il Qatar divenne un protettorato britannico. Gli al Thani avevano una discreta autonomia nel governo degli affari interni ma dipendevano dall’impero britannico per la protezione e la politica estera. Il Qatar è un paese piuttosto piccolo: occupa una penisola grande poco più dell’Abruzzo e con quasi due milioni di abitanti. Ma soprattutto grazie alla sua enorme ricchezza derivata dall’esportazione degli idrocarburi, è un paese con una forte influenza sia nell’economia mondiale (anche a seguito della crisi energetica di quest’anno) sia nelle questioni internazionali. Il Qatar possiede il 14% del totale delle riserve mondiali di gas, ed è il terzo paese al mondo per esportazioni dietro Russia e Iran.
Il Qatar divenne completamente indipendente nel 1971, quando il Regno Unito rinunciò al suo protettorato, e da allora il paese è rimasto una monarchia assoluta governata dagli al Thani. L’Islam è la religione ufficiale e la costituzione del paese sostiene nel suo primo articolo che la legge islamica (la sharia) è la fonte principale della legislazione. Inoltre la famiglia regnante ha imposto nel paese il wahhabismo[1].
In Qatar il potere della famiglia al Thani è praticamente assoluto e l’emiro ha il potere di nominare e licenziare il primo ministro e tutto il governo. In teoria sarebbe affiancato da un’assemblea consultiva che detiene alcuni poteri, come quello di porre il veto sulle leggi ma in realtà l’assemblea non si azzarda a contraddire l’emiro, che comunque nomina un terzo dei membri del corpo consultivo. In Qatar i partiti politici sono banditi, è vietato formare un sindacato e la stampa è censurata. L’omosessualità è un reato che può essere punito con la pena di morte.
La data più importante della storia recente del Qatar è probabilmente il 1997, anno in cui il paese cominciò a esportare nel mondo il gas naturale i cui giacimenti erano stati scoperti poco prima. Il gas naturale ha trasformato il Qatar in un paese ricchissimo e una potenza regionale, infatti è attualmente uno dei paesi più ricchi al mondo in termini di prodotto interno lordo pro capite. Ma la produzione di gas ha fatto del Qatar anche uno dei paesi più inquinanti al mondo, almeno in rapporto alle sue dimensioni: per esempio, è il maggiore produttore di CO2 pro capite anche se ovviamente in termini assoluti i paesi più inquinanti sono quelli più grandi e popolati, come gli Stati Uniti o la Cina.
Negli ultimi trent’anni, gli enormi introiti ottenuti grazie al gas naturale hanno permesso al Qatar e al suo regime di realizzare progetti ambiziosi e ottenere influenza nel mondo. Nel 1996 fu fondato il canale televisivo in inglese Al Jazeera, che divenne nel giro di poco tempo il più importante della regione, e negli anni si è espanso con uffici e canali anche in Occidente e in altri paesi. Doha, la capitale, è diventata una città ricca e sviluppata, con grattacieli e architettura d’avanguardia, e ospitare i Mondiali di calcio rappresenta il coronamento di un successo internazionale (ci sono state molte critiche su come il paese ha ottenuto la designazione).
Il grande sviluppo economico del Qatar ha anche creato enormi squilibri e ingiustizie: buona parte dell’economia si basa sul lavoro di operai migranti che non hanno diritti e vivono spesso in condizioni terribili. Gran parte delle infrastrutture dei Mondiali è stata costruita proprio da loro, con enormi sacrifici e molti morti a causa delle pessime condizioni di sicurezza e dei ritmi di lavoro massacranti. Di tutta la popolazione che si trova nel territorio del Qatar, soltanto il 10-15% circa gode dei pieni diritti di cittadinanza e degli enormi privilegi e ricchezze che ne derivano: lo stato qatariota ha vari programmi per redistribuire la grande ricchezza generata dalla vendita del gas, come stipendi mediamente altissimi, un welfare eccezionalmente generoso e bollette azzerate. Ma chi non è cittadino, cioè la stragrande maggioranza delle persone che abitano nel paese, vive in condizioni svantaggiate e di assenza di diritti, totale o parziale.
Responsabilità e obblighi non rispettati
In un report pubblicato a sei mesi dalla partita inaugurale dei Mondiali di calcio del Qatar, Amnesty International ha dichiarato che la Federazione Internazionale delle Associazioni Calcistiche (FIFA) dovrebbe mettere a disposizione almeno 440 milioni di dollari per risarcire centinaia di migliaia di lavoratori migranti vittime di sfruttamento a partire dal 2010, quando la Coppa del mondo venne assegnata al Qatar.
Come esplicitato nei Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani e come riconosciuto dalle sue stesse politiche, la FIFA ha la responsabilità di porre rimedio alle violazioni dei diritti umani cui contribuisce. Tale responsabilità riguarda non solo i lavoratori impegnati nella costruzione di impianti direttamente impiegati nell’evento calcistico come gli stadi, i centri di allenamento, gli alberghi accreditati e i centri-stampa, ma anche quelli che si occupano dei servizi necessari per rendere operative quelle strutture come i trasporti, le strutture di accoglienza e le altre infrastrutture atte a ospitare più di un milione di persone che si recheranno in Qatar per assistere ai Mondiali di calcio.
Analogamente, il Qatar è obbligato a fornire rimedi per ogni violazione che si verifichi sul suo territorio, anche non collegata ai Mondiali di calcio. Sebbene vi sia stato qualche progresso grazie alle iniziative del Comitato Supremo per la Consegna e il Patrimonio (il comitato organizzatore) e alle riforme promosse dalle autorità, la limitata portata e la scarsa applicazione delle une e delle altre ha fatto sì che le violazioni proseguissero e che i lavoratori migranti avessero poco accesso alle forme di rimedio. In definitiva, le violazioni subite nell’ultimo decennio dai lavoratori migranti impiegati in tutti i progetti relativi ai Mondiali di calcio del 2022 in Qatar sono state prese ben poco in considerazione.
“Da anni, la sofferenza di coloro che hanno reso possibile questa Coppa del mondo è stata nascosta sotto il tappeto. È giunto il momento che la FIFA e il Qatar lavorino congiuntamente per attuare un programma complessivo di rimedi che abbia al centro i lavoratori e garantisca che nessun danno verrà ignorato”, ha sottolineato Agnès Callamard, Segretaria generale di Amnesty International. “Secondo il diritto internazionale e le stesse regole della FIFA, tanto questa quanto il Qatar hanno l’obbligo e la responsabilità di prevenire violazioni dei diritti umani e fornire rimedi alle vittime. La somma che Amnesty International e altri stanno sollecitando è del tutto giustificabile data la quantità di violazioni subite, e rappresenta una piccola parte dei sei miliardi di dollari che la FIFA ricaverà dai Mondiali di calcio”, ha proseguito Callamard.
Guardando oltre gli attuali Mondiali di calcio, Amnesty International chiede alla FIFA di garantire che le violazioni dei diritti umani dei lavoratori migranti non si ripetano, e di assicurare che ogni successiva assegnazione di tornei ed eventi calcistici sia preceduta da una rigorosa valutazione relativa ai rischi di violazioni dei diritti umani e accompagnata da chiari piani d’azione per prevenire e mitigare le possibili violazioni individuate.
Gli stadi avveniristici e gli alberghi all’avanguardia celano in realtà il pesantissimo costo umano della manifestazione, voluta in particolare dalla potente famiglia Al Thani. In Italia due libri hanno provato a ricostruire l’impatto della Coppa del mondo: tra affari e sportwashing[2], “qui si farà la storia”, scrivono gli organizzatori dei Campionati mondiali di calcio 2022 in partenza in Qatar il 20 novembre. La storia, in realtà, è già stata fatta: questi saranno i primi campionati in Medio Oriente e, sempre per la prima volta, le partite si giocheranno non in estate, come da tradizione, ma in inverno. Per far sì che queste “prime volte” si tramutassero in “successo” sono stati costruiti e rinnovati otto stadi che ospiteranno circa 1,2 milioni di persone tra tifosi, giornalisti, membri delle squadre, per un investimento pari a quasi sei miliardi di euro. Numeri stellari dietro i quali c’è molto altro di cui, soprattutto in Italia, si è parlato a malapena. Fanno eccezione le voci di V. Moggia, autore del blog “Pallonate in faccia”, e di R. Noury, portavoce di Amnesty International Italia, rispettivamente autori dei libri La Coppa del morto (Ultra Sport) e Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento (Infinito Edizioni). Partendo da punti di vista diversi, entrambi cercano di fare luce su ciò che è in realtà Qatar 2022.
In primis, affrontano la condizione precaria di oltre due milioni di lavoratori migranti da Asia e Africa, che costituiscono il 90% della forza lavoro dell’emirato. In secondo luogo, si occupano più in generale della questione dei diritti negati non solo ai lavoratori, ma anche alle donne, alla comunità LGBTI+, senza tralasciare il devastante impatto ambientale relativo alla costruzione degli stadi e al loro funzionamento. Per capire come è iniziata “la storia di un Mondiale che non dovrebbe esistere”, come la definisce Moggia, occorre tornare indietro di diversi anni.
“Siamo di fronte alla ‘lungimiranza’ della famiglia Al Thani, di fatto i proprietari e governanti del Qatar, che già dagli anni Settanta iniziano a rendersi conto che gas e petrolio, di cui sono ricchi e che esportano in tutto il mondo, non sarebbero durati per sempre. E, quindi, sfruttando una quantità inimmaginabile di soldi, intraprendono un lungo percorso di diversificazione economica e costruzione di un’immagine positiva agli occhi dei consumatori dei diversi settori, inclusi i tifosi nel caso dello sport. I qatarioti arrivano nel momento in cui le economie europee e statunitensi soffrono di una crisi di liquidità e considerando le prospettive di ritorno economico, ne ha approfittato anche il calcio ma così facendo ha messo in secondo piano i diritti umani”. E così si arriva al 2010, quando tra coincidenze e presunti casi di corruzione mai definitivamente appurati, al Qatar vengono assegnati i Mondiali del 2022. Gli affari degli Al Thani sono proseguiti, poi, con la creazione della piattaforma multimediale BeIN Sports, oggi il principale intermediario per la cessione dei diritti televisivi delle competizioni europee nel mondo arabo, e l’acquisizione della squadra francese del Paris Saint-Germain nel 2011.
“Siamo di fronte al trionfo dello sportwashing”, afferma Noury, che con Amnesty International ha più volte denunciato pubblicamente le azioni del Qatar. Definendolo come una “strategia di pubbliche relazioni che utilizza eventi sportivi per ‘sbiancare’ la propria immagine in tema di diritti umani”, lo sportwashing è efficace “perché da un lato entusiasma i tifosi, a cui non necessariamente è richiesta una sensibilità sui diritti, mentre dall’altro separa l’evento sportivo dal contesto che lo circonda”. Da questo punto di vista secondo Noury la strategia del Qatar è stata un trionfo per altri due motivi, che riguardano tutta la regione del Golfo e chi fa affari con i loro governi. “Perché si ripeterà nel tempo con i giochi asiatici invernali del 2029 in Arabia Saudita, dove si scierà su dune di sabbia ricoperte di neve artificiale. E poi perché è la politica che ha reso possibile tutto questo”. Dunque, evidenzia Noury, “non bisogna stupirsi se in Italia si è ritenuto opportuno giocare le partite di Supercoppa di Lega in Arabia Saudita nello stesso periodo in cui il governo italiano inviava armi ai sauditi per fare la guerra in Yemen, uccidendo migliaia di civili, tra cui moltissimi bambini”.
Tenendo a mente i legami tra centri di potere e i principali mezzi di informazione in Italia, per Noury non sorprende neanche il fatto che di critiche ai Mondiali 2022 ce ne siano state poche. Gli fa eco Moggia, che aggiunge che “tutto ciò riflette il povero stato generale dell’informazione in Italia. Anche quando se n’è parlato, lo si è fatto male e soltanto riprendendo le inchieste fatte da testate internazionali”. Tra queste, spicca il lavoro dei giornalisti del Guardian, che oltre a rivelare i più di 6.500 morti tra i lavoratori migranti negli ultimi 10 anni, lo scorso marzo ha dato conto delle condizioni in cui lavorano e vivono gli addetti alla manutenzione degli stadi dei Mondiali. Turni di oltre 12 ore, a prescindere dalle alte temperature, impossibilità di assentarsi, e cabine di pochi metri quadri come abitazioni, in cui i lavoratori vivono in cinque o sei, senza possibilità di scelta perché di fatto “di proprietà” dei loro capi. Condizioni ben diverse dalle scintillanti strutture che ospiteranno calciatori e tifosi pronti a partecipare ai “migliori Mondiali della storia”, secondo il presidente della FIFA, G. Infantino, atteso a pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento da oltre 440 milioni di euro avanzata da Amnesty International e altre Ong in favore delle famiglie dei lavoratori che hanno perso la vita per Qatar 2022.
È il minimo che si possa fare per “la squadra che non scenderà in campo”, come la chiama Noury, riferendosi ai lavoratori provenienti per lo più dall’Asia del Sud, e senza i quali la competizione sportiva non sarebbe stata possibile. Nell’omonimo capitolo del suo libro, il portavoce di Amnesty elenca i nomi, la provenienza, e soprattutto le circostanze in cui i lavoratori hanno trovato la morte, quasi sempre ricondotte a “cause naturali” dalle autorità di Doha. Autorità che hanno ignorato anche i numerosi casi di suicidio fra i lavoratori e le condizioni di difficoltà e malessere che hanno condotto a ciò, prima di tutto l’impossibilità di ripagare i debiti contratti per emigrare.
È così che funziona la kafala, l’unico meccanismo tramite il quale un lavoratore migrante può arrivare nel paese, pagando una quota ingente al suo kafeel (agenzia di impiego o datore di lavoro) che ha il diritto di confiscare il passaporto e decidere come e quando il lavoratore può cambiare impiego o ripartire. “Si tratta di un sistema di dominazione economica, legale e fisica diffuso in tutto il Medio Oriente”, spiega Noury, secondo cui “le diverse riforme avviate nel 2017 nell’ambito della cooperazione tra l’OIL e il Qatar rimangono insufficienti. Bisogna riconoscere che la situazione è ben diversa rispetto a 12 anni fa, se si pensa ad esempio che in Qatar è stato introdotto per legge il salario minimo, cosa che non abbiamo in Italia. Ma le riforme sono arrivate tardi, a stadi già costruiti, hanno riguardato solo i siti ufficiali dei Mondiali, e hanno escluso altri settori, come quello cruciale della sicurezza. Soprattutto, non hanno intaccato la natura della kafala che rimane tutto fuorché garanzia dei diritti delle persone”.
Attraverso le ricostruzioni dei due testi è evidente, dunque, che c’è e c’era molto di cui occuparsi. “È un’altra occasione persa”, concordano gli autori, che auspicano azioni dimostrative da parte di alcuni calciatori e tifosi durante il torneo. “Da qualche parte bisogna pur partire, e l’attenzione sui diritti rimarrà alta anche dopo la finale del 18 dicembre”, conclude Noury, che ricorda un recente sondaggio condotto da Amnesty International tra i tifosi in Europa, secondo cui il 73% degli intervistati sarebbe a favore della richiesta di risarcimento per i lavoratori migranti.
Steve Cockburn, direttore del programma Giustizia Economica e Sociale di Amnesty International ha dichiarato: “Gianni Infantino pare voler rifiutare l’opportunità aurea che i Mondiali lascino un’eredità di rispetto e onore per i lavoratori che li hanno resi possibili. Gli sono state presentate fior di prove sulle conseguenze umane degli ultimi 12 anni e una proposta per aiutare le vittime e le loro famiglie a rifarsi una vita. Il messaggio da Zurigo e Doha non può solo concentrarsi sul calcio. La FIFA non può usare lo spettacolo dei Mondiali per venir meno alle sue responsabilità. Ha un chiaro dovere nei confronti dei danni subiti da centinaia di migliaia di lavoratori mentre costruivano gli stadi e le infrastrutture necessari per lo svolgimento del torneo. Un impegno pubblico in favore di un fondo di risarcimento, sebbene non possa annullare il passato, rappresenterebbe un grande passo avanti. Il tempo è agli sgoccioli ma non è ancora troppo tardi perché la FIFA faccia la cosa giusta”.
Nel maggio 2022 Amnesty International e una coalizione di organizzazioni hanno lanciato una campagna per chiedere al Qatar e alla FIFA di avviare un programma complessivo di rimedi per le centinaia di migliaia di lavoratori vittime di tasse di assunzione illegali, salari non pagati, ferimenti e decessi. Finora, Infantino non ha replicato in alcun modo alla lettera congiunta inviatagli all’inizio della campagna e ha sempre evitato di affrontare in pubblico il tema dei risarcimenti. La proposta del programma di rimedi ha ottenuto ampio sostegno da parte di una decina di associazioni calcistiche (tra le quali Inghilterra, Germania, Francia, Paesi Bassi e Usa), degli sponsor dei Mondiali Coca Cola, Adidas, Budweiser e McDonald’s e, con un video diventato virale il mese scorso, della nazionale di calcio dell’Australia. Amnesty International ricorda oggi che il 4 novembre Gianni Infantino ha scritto alle 32 nazioni finaliste dei Mondiali di Qatar 2022 sollecitandole a “concentrarsi sul pallone” e a lasciare da parte le questioni relative ai diritti umani. Poco prima, il ministro del Lavoro del Qatar aveva liquidato la campagna di Amnesty International come “una trovata pubblicitaria”.
“Sebbene alti dirigenti della Fifa abbiano riconosciuto l’importanza dei risarcimenti, la governance del calcio e il suo presidente non hanno mai fatto alcuna dichiarazione pubblica”, sottolinea Amnesty. Un sondaggio globale commissionato dall’organizzazione in 15 Stati, ha rivelato che l’84 per cento delle persone che probabilmente vedranno i Mondiali è a favore della proposta. Le condizioni di lavoro disumane nella costruzione degli stadi dei Mondiali e la generale precarietà dei diritti umani in Qatar sono state denunciate in Germania anche all’interno della Bundesliga e il club Tsg Hoffenheim ha annunciato che non darà notizie sulla manifestazione durante il suo svolgimento.
Dal 2010, data dell’assegnazione del Mondiale al Qatar, almeno 6500 operai sono morti durante la realizzazione delle strutture per l’evento, 12 ogni settimana. Human Rights Watch ha anche lanciato un appello alle squadre del continente africano affinché sostengano i migranti che hanno reso possibile il Mondiale, ma non hanno ricevuto risposta. L’ipocrisia internazionale sull’argomento ha raggiunto livelli superiori alla norma. Le denunce delle organizzazioni umanitarie non sono servite a nulla, gli affari commerciali verso il Qatar sono troppo più importanti di qualche poveraccio che muore cadendo da un’impalcatura o della privazione di diritti per le donne.
In Qatar, denuncia Amnesty International, i lavoratori migranti hanno continuato a subire abusi sul lavoro e la limitazione della libertà di espressione è aumentata in vista della Coppa del mondo. Le donne e le persone LGBTI+ hanno continuato a subire discriminazioni nella legge e nella pratica. Nel maggio scorso gli avvocati Hazza e Rashed bin Ali Abu Shurayda al-Marri sono stati condannati all’ergastolo con l’accusa di aver contestato le leggi ratificate dall’Emiro. Il 4 maggio dell’anno scorso le autorità del Qatar hanno fatto sparire con la forza Malcolm Bidali, una guardia di sicurezza keniota, blogger e attivista per i diritti dei lavoratori migranti. Lo hanno tenuto in isolamento per un mese e gli hanno negato l’accesso a un consulente legale. L’estate scorsa sette membri di alcune tribù, principalmente quella di al-Murra, che avevano protestato contro la loro esclusione dalle elezioni del Consiglio della Shura, sono stati arrestati e deferiti alla pubblica accusa. Le donne sono rimaste legate al loro tutore maschio, di solito il padre, fratello, nonno o zio, o per le donne sposate, il marito. Le donne hanno bisogno del permesso del loro tutore per sposarsi, studiare all’estero, lavorare in molti posti governativi, viaggiare all’estero e ricevere alcune forme di assistenza sanitaria riproduttiva. L’omosessualità è rimasta un reato ai sensi del codice penale, punibile con la reclusione fino a sette anni.
Amnesty International e Human Rights Watch chiedono un fondo di solidarietà per ripagare i lavoratori migranti morti o infortunati durante la preparazione del Mondiale. Tra le diffuse critiche rivolte al Qatar come paese ospitante per la Coppa del mondo 2022, molte squadre sportive stanno sfruttando l’evento come opportunità per protestare contro le leggi omofobe del paese. Se in molti potrebbero vedere le iniziative come vuoto attivismo performativo, è innegabile che la visibilità mediatica delle squadre contribuisca a inviare un messaggio forte, unendosi al coro degli attivisti che chiedono un cambiamento radicale nel trattamento riservato alla comunità LGBTI+, ancora oggi vittima di soprusi e violenze in Qatar.
Alcuni giorni fa il presidente della FIFA Gianni Infantino, insieme con il Segretario generale, Fatma Samoura, ha scritto una lettera alle 32 nazionali che si sfideranno nel torneo e in un passaggio della stessa si legge: “Alla FIFA, cerchiamo di rispettare tutte le opinioni e le convinzioni, senza impartire lezioni morali al resto del mondo. Uno dei grandi punti di forza del mondo è proprio la sua diversità, e se inclusione significa qualcosa, significa avere rispetto per quella diversità. Nessun popolo, cultura o nazione è “migliore” di un’altra. Questo principio è la pietra miliare del rispetto reciproco e della non discriminazione. E questo è anche uno dei valori fondamentali del calcio. Quindi, per favore, ricordiamolo tutti e lasciamo che il calcio sia al centro della scena”.
Il calcio e l’omosessualità
Va ricordato che il calcio ha sempre fatto fatica ad ammettere di avere un problema serio, più di altri sport, con l’omosessualità. In un’intervista del 2012 il giocatore Antonio Cassano ha detto di sperare che “in squadra non ci fossero f*oci”. Più volte l’ex allenatore della nazionale italiana, Marcello Lippi, ha dichiarato di non aver mai conosciuto un giocatore omosessuale. Gli esempi sono tutti italiani, ma basterà pensare ai racconti delle difficoltà incontrate nel fare coming out di alcuni calciatori stranieri – uno su tutti Héctor Bellerín – per comprendere quanto il fenomeno sia di ampia portata e non incontri barriere geografiche.
Come molti studi hanno dimostrato, il cortocircuito è innescato dall’impatto che gli stereotipi di genere hanno sull’immaginario comune legato al calcio. La mascolinità è, infatti, associata oltre che a forza e aggressività, allo spirito competitivo. La femminilità, viceversa, a debolezza e dolcezza. Si tratta di costrutti culturali percepiti erroneamente dalla maggior parte delle persone come differenze biologicamente determinate. A questo si aggiunge un’altra stortura, quella della confusione tra ruolo di genere e orientamento sessuale, per cui se sei omosessuale devi necessariamente essere effeminato, motivo per il quale, a sua volta, non puoi essere uno sportivo.
È vero che nel tempo il mondo del calcio ha iniziato a fare i conti con questo problema, e che anche la FIFA ha stilato protocolli per l’inclusione e per sanzionare le discriminazioni ma la strada è lunga. Proprio da un rapporto FIFA basato sul tracciamento dei social durante Euro2020 e Coppa d’Africa 2021 è emerso che oltre il 50 per cento dei calciatori ha ricevuto discriminazioni, la maggior parte di matrice razzista e omofobica. Sono stati analizzati oltre 400 mila post sulle piattaforme dei social media durante le fasi finali delle due competizioni internazionali, e i commenti omofobici sono risultati il 40 per cento del totale. Di certo, l’atteggiamento indulgente che la FIFA sta dimostrando conferma che il problema del calcio con l’omosessualità è ancora lontano dalla soluzione.
Proprio su temi che riguardano i diritti civili il direttore del comitato organizzatore dei Mondiali di calcio del 2022, Nasser Al-Khater, ha assicurato che il Qatar è un “paese tollerante” e accoglierà tutti i tifosi appartenenti alla comunità LGTBI+ nonostante le dure critiche delle organizzazioni per i diritti umani, che hanno posto l’accento sulle condizioni dei lavoratori, delle donne e degli omosessuali. Il leader dell’organizzazione del torneo nel corso di un’intervista rilasciata alla CNN ha risposto ad alcune domande relative ai diritti nel suo paese e ha ribadito che l’omosessualità non è consentita: “Il Qatar e i paesi limitrofi sono conservatori e chiediamo ai tifosi di rispettarlo. Siamo sicuri che lo faranno, così come rispettiamo le diverse culture, speriamo che lo sia anche la nostra. Le manifestazioni pubbliche di affetto sono disapprovate e questo vale per tutti”.
Al-Khater ha voluto sottolineare che tutti coloro che parteciperanno alla Coppa del mondo saranno al sicuro indipendentemente dal loro orientamento sessuale o dalla loro cultura: “Verranno in Qatar come fan e partecipanti a un torneo di calcio e saranno in grado di fare ciò che farebbe qualsiasi altro essere umano”.Quando Josh Cavallo, il calciatore australiano che di recente ha fatto coming out, e ha espresso i suoi timori sulla situazione dei diritti per le persone omosessuali in Qatar, Al-Khater lo ha invitato ad andare in Qatar prima della Coppa del mondo: “Gli diamo il benvenuto e lo invitiamo a conoscere il paese. Nessuno si sente minacciato qui e penso che questa percezione di pericolo sia dovuta alle molteplici accuse e notizie che danno uno sguardo negativo al nostro paese”.
Amnesty International ha sollecitato la FIFA a usare la sua influenza presso le autorità del Qatar per porre fine alle violazioni dei diritti dei lavoratori migranti impegnati nella costruzione delle infrastrutture e degli impianti sportivi, ma la situazione non è cambiata. La nazionale di calcio degli Stati Uniti, in primis, ha inviato un chiaro messaggio di sostegno alla comunità LGBTI+ esponendo un logo arcobaleno sul proprio jet privato. Il logo – una scritta “USA” con strisce arcobaleno sotto di essa – fa parte dell’iniziativa “Be The Change”, volta a richiamare l’attenzione su importanti questioni di giustizia sociale, secondo quanto riportato da Reuters. “Quando siamo sul palcoscenico del mondo e quando ci troviamo in una sede come il Qatar, è importante sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi ed è questo il senso di Be the Change”, ha dichiarato lunedì Gregg Berhalter, allenatore della nazionale USA, alla stampa. Mostrando pubblicamente il proprio sostegno ai diritti LGBTI+, la nazionale statunitense sta contribuendo a diffondere un messaggio di protesta verso FIFA e Qatar affinché la pressione sulla comunità LGBTI+ del paese venga allentata. E questo potrebbe fare una grande differenza anche per i tifosi e gli atleti LGBTI+ che vogliono godersi il torneo senza temere discriminazioni.
Anche la nazionale britannica – in collaborazione con Virgin Atlantic – ha scelto di dimostrare il proprio sostegno alla comunità LGBTI+ in Qatar utilizzando l’“aereo arcobaleno”, che reca una bandiera LGBTI+ e la scritta “#Rainbow”. L’iniziativa fa parte del più ampio impegno della compagnia aerea per l’inclusività e la diversità, concretizzata nella campagna “Be Yourself”. Virgin Atlantic è da molti anni forte sostenitrice dei diritti LGBTI+ ed è stata una delle prime compagnie aeree a introdurre una politica inclusiva che permettesse ai clienti di prenotare i voli utilizzando i pronomi preferiti. La compagnia ha anche introdotto toilette di genere neutro su tutti i suoi aerei, nonché programmi di scontistica e partnership al personale e ai clienti che si recano agli eventi Pride in tutto il mondo.
La squadra tedesca si è invece recata in Qatar con la compagnia aerea Lufthansa, che ha decorato la fiancata del jet della squadra per la Coppa del mondo con l’opera “Diversity Wins”. In un comunicato, la compagnia aerea ha dichiarato che Lufthansa è “sinonimo di apertura, tolleranza, diversità e unione tra le persone” e che accoglie tutti a bordo “indipendentemente da sesso, età, etnia, religione, nazionalità, identità o orientamento sessuale”.
Il portale tedesco SVT Sport, insieme a NKR e DR, ha condotto un’inchiesta sul trattamento che le strutture alberghiere del Qatar stanno riservando ai turisti LGBTI+ interessati a occupare una camera nel corso della competizione. L’indagine ha tenuto conto della lista dei 69 hotel consigliati sul sito della FIFA, che sono stati contattati per iscritto con una fittizia richiesta di informazioni su come comportarsi se a effettuare una prenotazione fosse una coppia gay. Dieci di loro non hanno risposto al messaggio, mentre tredici hanno spiegato di non poterli accogliere perché al momento lavorano solo come “alberghi Covid”. Delle 46 attività rimanenti, tre hanno respinto in modo esplicito la possibilità di alloggiare in loco e venti hanno espressamente chiesto agli ospiti di “non dare nell’occhio”, evitando di indossare vestiti molto colorati o di lasciarsi andare a scambi effusivi per non lasciare intuire il loro orientamento sessuale. Le altre ventitré, invece, non hanno battuto ciglio e hanno avviato immediatamente le pratiche necessarie.
Uno spaccato preoccupante e destinato a suscitare nuove polemiche, dal momento che finora in Qatar le relazioni omosessuali restano vietate e sono punibili con la reclusione fino a sette anni, secondo i dati pubblicati da Amnesty, e nonostante le numerose proteste inoltrate di recente alla FIFA. La ritrosia di molte delle strutture contattate si spiegherebbe tenendo conto della normativa vigente in Qatar, ancora lontana dal garantire rispetto a tutte le categorie. “Ci atteniamo alle regole del paese”, è stata non a caso la spiegazione fornita dal Wyndham Grand Regency quando i giornalisti hanno rivelato la loro identità, proprio com’è successo con il Magnum Hotel & Suites Westbay. Diversa invece la reazione del The Torch Doha, il terzo e ultimo degli hotel a non avere offerto ospitalità: al telefono il suo staff ha negato di avere rifiutato la prenotazione, ma messo di fronte a un’email che provava il contrario ha deciso di ritrattare e ha aperto le porte alle coppie queer, a patto anche stavolta che evitassero ad ogni costo di farsi notare.
D’altronde, già ad aprile, una lettera inoltrata alla FIFA da parte di 16 organizzazioni non governative, guidate da ILGA World e Football v Homophobia, aveva messo in evidenza i pericoli a cui potrebbe andare incontro la comunità LGBTI+ durante la manifestazione: “I progressi effettuati sono stati lenti”, si legge nel documento, “mentre le rassicurazioni sulla sicurezza delle persone LGBTI+ e i meccanismi in atto per garantire la sicurezza non sono stati adeguati”, in riferimento al diritto di accesso nel paese, alla censura e alle condizioni generali di accoglienza. Le loro domande finora non hanno ricevuto feedback, il che lascia intendere che sia ancora valido il divieto di manifestazioni d’affetto gay tanto sul campo quanto sugli spalti che era stato decretato dal direttore esecutivo del comitato organizzatore di Qatar 2022, Nasser Al-Khater.
“Un biglietto si compra per vedere una partita”, aveva poi chiarito in merito Abdul Aziz Abdullah Al-Ansari, presidente del Comitato nazionale Antiterrorismo del ministero dell’Interno, nonché leader della sicurezza del Qatar, “e non per venire allo stadio e fare un gesto politico, o difendere un ideale”. Se qualcuno dovesse sollevare una bandiera arcobaleno, quindi, l’intenzione di Al-Ansari stesso è quella di portargliela via – ma non per piacere personale o perché lo ritenga un insulto – ha precisato, bensì “per proteggerlo, perché, se non lo farò io, potrebbero essere altri tifosi ad aggredirlo”. Molta sembra quindi la strada ancora da percorrere per concretizzare il processo di integrazione incentivato dai Mondiali.
Il rapporto della FIFA con la comunità LGBTI+ è sempre stato piuttosto controverso. La FIFA più volte ha esibito comportamenti contraddittori, lasciandosi andare a esternazioni velatamente omofobiche: “L’omosessualità è contro la legge ed è una malattia mentale”, ha detto a un’emittente televisiva tedesca Khalid Salman, ambasciatore dei Mondiali in Qatar. Una frase anticipata dall’invito ai tifosi omosessuali che assisteranno alle partite del Mondiale ad accettare le regole vigenti nel paese, detto in altre parole l’invito ad astenersi da pubbliche esternazioni d’affetto. La frase ha generato indignazione e spinto alcuni attivisti tedeschi LGBTI+ del gruppoAll Out a protestare di fronte al museo della FIFA a Zurigo. La Federazione, rispondendo alle legittime contestazioni degli attivisti, ha assicurato che “tutte le misure necessarie saranno messe in atto per i fan LGBTI+ per godersi il torneo in un ambiente accogliente e sicuro, proprio come per tutti gli altri”.
La federazione calcistica olandese ha invece lanciato la campagna “OneLove” alla quale si sono uniti Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Svezia, Svizzera e Galles. Ai capitani delle squadre è stato però impedito di indossare la fascia arcobaleno al braccio pena l’ammonizione. Diverse nazionali hanno ufficialmente protestato, annunciando il mancato utilizzo della fascia “OneLove”. Decisione che ha scatenato anche l’accesa reazione di Josh Cavallo, calciatore australiano che lo scorso anno ha fatto coming out, infrangendo un tabù durato 30 anni. “Amo la mia identità”, ha scritto Cavallo su Instagram rivolgendosi proprio alla FIFA. “Visto che avete vietato a tutte le squadre di indossare la OneLove al braccio per sostenere attivamente le persone LGBTQ+ durante la Coppa del mondo, avete perso la mia stima! Uno schiaffo a tutto il lavoro che i miei alleati compagni e la comunità LGBTQ+ stanno facendo per rendere il calcio inclusivo, avete dimostrato che il calcio non è un posto per tutti”. Parole durissime, ma ineccepibili, al cospetto di un Mondiale di calcio che sta collezionando quasi soltanto polemiche e con la FIFA che arranca tra discutibili dichiarazioni e impresentabili decisioni.
Dodici anni fa, quando si stava decidendo quale sarebbe stata la sede degli attuali Mondiali di calcio, non emersero né incertezze né imbarazzi quando la scelta cadde sul Qatar, un paese autore di numerose violazioni dei diritti umani. Anzi, a onor del vero, è stato proprio in quel momento che si è dimostrata la scarsa sensibilità dei vertici FIFA. Durante l’annuncio nel 2010 della scelta del Qatar come nazione ospitante i Mondiali di dieci anni dopo, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva cosa consigliasse ai tifosi omosessuali che intendevano recarsi nel paese islamico per seguire il torneo, l’allora presidente FIFA, Joseph Blatter, aveva risposto sorridendo: “Direi che dovrebbero astenersi da qualsiasi attività sessuale”.
Il calcio e il lavoro dei migranti
A partire dal 2010, centinaia di migliaia di lavoratori migranti hanno subito violazioni dei diritti umani mentre stavano costruendo stadi, alberghi, sistemi di trasporto e altre infrastrutture necessarie per ospitare i Mondiali di calcio del 2022 in Qatar. La stragrande maggioranza di loro ha, per esempio, versato in media 1300 dollari ad agenzie di collocamento illegali. Fino al 2020, nessuno di loro ha potuto liberamente cambiare lavoro o lasciare il paese. Dal 2018, le autorità del Qatar hanno dato vita a una serie di importanti riforme per migliorare la situazione dei diritti umani dei lavoratori, ma la mancata attuazione di questi provvedimenti ha fatto sì che le violazioni proseguissero. In precedenza, nel 2014, il Comitato supremo per la consegna e il patrimonio aveva introdotto alcuni standard migliorativi relativi ai lavoratori impiegati presso i siti ufficiali della FIFA, come gli stadi, ma non sono stati completamente rispettati e hanno comunque riguardato solo una piccola parte delle centinaia di migliaia di lavoratori migranti impiegati negli altri progetti relativi ai Mondiali di calcio.
Un’iniziativa positiva promossa dal Comitato supremo per la consegna e il patrimonio è stata l’accordo con le imprese assegnatarie dei lavori dei siti ufficiali della FIFA affinché rimborsassero le somme versate alle agenzie di collocamento da 48.000 lavoratori. Anche in questo caso, si è trattato di una minoranza di tutti i lavoratori. In una lettera aperta sottoscritta da una coalizione di organizzazioni per i diritti umani e da sindacati e da gruppi di tifosi, Amnesty International ha chiesto a Gianni Infantino, in qualità di presidente della FIFA, di lavorare insieme alle autorità del Qatar per la definizione di un programma di risarcimenti e per garantire che quelle forme di sfruttamento non si ripetano nello stesso Qatar e in occasione dei successivi Mondiali di calcio.
La somma di 440 milioni di dollari, che dovrebbe essere usata per risarcire i lavoratori migranti, equivale a quella versata dalla FIFA per l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022 in Qatar.
“Dati i precedenti del Qatar per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani, la FIFA sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che affidando a questo stato i Mondiali di calcio i lavoratori avrebbero corso dei rischi. Ciò nonostante, quando venne esaminata la candidatura del Qatar, non ci fu alcun riferimento a ciò e non vennero poste condizioni circa la protezione dei lavoratori. Da allora la FIFA ha fatto ben poco per prevenire o mitigare tali rischi”, ha dichiarato Agnès Callamard, Segretaria generale di Amnesty International. “Chiudendo un occhio di fronte a violazioni dei diritti umani del tutto prevedibili e non contrastandole, la FIFA ha indubbiamente contribuito al massiccio sfruttamento dei lavoratori migranti impiegati nei progetti relativi ai Mondiali di calcio, non solo agli stadi e agli alberghi ufficiali”, ha aggiunto Callamard.
La somma di 440 milioni di dollari è probabilmente il minimo necessario per coprire i costi dei risarcimenti e delle iniziative di sostegno per proteggere in futuro i diritti dei lavoratori. Ma tenendo conto del rimborso totale degli stipendi non pagati e degli esorbitanti versamenti alle agenzie di collocamento, insieme ai risarcimenti per le morti e gli infortuni sul lavoro, tale somma potrebbe essere ben più elevata. Per quantificarla con precisione, sarebbe necessario il coinvolgimento partecipativo di sindacati, dei gruppi della società civile, dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e di altri attori. “Sebbene possa essere troppo tardi per cancellare le violazioni del passato, la FIFA e il Qatar possono e devono agire per fornire risarcimenti e impedire che si verifichino ulteriori violazioni. Risarcire lavoratori che hanno dato così tanto per rendere i Mondiali possibili e prendere provvedimenti per assicurare che quanto accaduto non si ripeta, potrebbe rappresentare un grande punto di svolta per quanto riguarda l’impegno della FIFA a rispettare i diritti umani”, ha sottolineato Callamard.
Conclusioni
Al termine di questo lungo articolo lascio al lettor* sei cose da sapere e da ricordare.
Libertà d’espressione e di stampa
Le autorità del Qatar utilizzano leggi repressive nei confronti di chi critica le istituzioni, tanto cittadini locali quanto lavoratori migranti. Cittadini del Qatar sono stati arrestati arbitrariamente per aver criticato il governo e poi condannati al termine di processi iniqui.
In Qatar c’è poco spazio per l’informazione indipendente. La libertà di stampa è limitata da crescenti vincoli imposti agli organi d’informazione, come ad esempio il divieto di girare riprese in edifici governativi, ospedali, università, alloggi per lavoratori migranti e abitazioni private.
Libertà di associazione e di manifestazione
I lavoratori migranti non possono formare sindacati né aderirvi. Possono far parte dei cosiddetti comitati congiunti, organismi diretti dai datori di lavoro nei quali è consentita una rappresentanza dei lavoratori. I comitati congiunti non sono imposti per legge e oggi ne fa parte solo il due per cento dei lavoratori. Cittadini locali e lavoratori migranti rischiano ripercussioni se vogliono esercitare il diritto alla libertà di manifestazione.
Processi iniqui
Nell’ultimo decennio vi sono stati processi iniqui nei quali gli imputati hanno denunciato di essere stati torturati e condannati sulla base di “confessioni” estorte. Spesso le persone arrestate vengono interrogate in assenza degli avvocati, isolate dal mondo esterno e senza neanche l’ausilio di un interprete.
Diritti delle donne
Le donne continuano a subire discriminazioni per legge o nella prassi. Il sistema del tutore maschile prevede che le donne debbano chiedere il permesso per sposarsi, studiare all’estero, lavorare nell’amministrazione pubblica, viaggiare all’estero se hanno meno di 25 anni e accedere ai servizi di salute riproduttiva. Il diritto di famiglia rende molto complicato il divorzio che, nei pochi casi in cui viene ottenuto, produce ulteriori discriminazioni di natura economica. Le donne non sono protette adeguatamente dalla violenza domestica e sessuale.
Diritti delle persone LGBTI+
L’articolo 296.3 del codice penale del Qatar criminalizza vari atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso e prevede il carcere, ad esempio, per chi “guidi, induca o tenti un maschio, in qualsiasi modo, a compiere atti di sodomia o di depravazione”. L’articolo 296.4 criminalizza chiunque “induca o tenti un uomo o una donna, in qualsiasi modo, a compiere atti contrari alla morale o illegali”. Nell’ottobre 2022 le organizzazioni per i diritti umani hanno segnalato casi in cui le forze di sicurezza hanno arrestato persone LGBTI+ in luoghi pubblici, solo sulla base della loro espressione di genere, controllando i contenuti dei loro telefoni. Le persone transgender arrestate sono obbligate a seguire terapie per la conversione come condizione per la loro scarcerazione.
Diritti dei lavoratori e delle lavoratrici
Nonostante i tentativi in corso di riformare il sistema del lavoro, il mancato o ritardato versamento dei salari, le condizioni di lavoro insicure, il diniego dei giorni di riposo, gli ostacoli alla ricerca di un nuovo lavoro e l’accesso limitato alla giustizia restano una costante nella vita di migliaia di lavoratori. La morte di migliaia di lavoratori non è mai stata indagata. Sebbene sia stato istituito un fondo locale per risarcire i salari non versati, centinaia di migliaia di lavoratori migranti devono ancora ricevere un risarcimento per i danni subiti nello scorso decennio. Il lavoro forzato domina ancora, soprattutto ai danni dei lavoratori del settore della sicurezza privata e delle lavoratrici domestiche. Il pagamento di somme sproporzionate per ottenere un impiego (da 1000 a 3000 euro) è causa di debiti che richiedono mesi se non anni per essere saldati, contribuendo così a intrappolare i lavoratori in un ciclo di sfruttamento.
Sepp Blatter, presidente della FIFA al momento della designazione della sede nel 2010, ha dichiarato che la scelta del Qatar è stata “un errore” su cui pende anche lo scandalo corruzione, dal momento che diverse inchieste hanno rivelato un giro di tangenti che avrebbe di fatto spianato la strada all’assegnazione al paese mediorientale. Secondo alcune autorità europee per la protezione dei dati personali, due applicazioni governative metterebbero seriamente a rischio la privacy degli utenti. Chi in Qatar ha provato a denunciare lo sfruttamento dei lavoratori e le morti legate all’organizzazione dei Mondiali ha fatto una brutta fine. Il bavaglio è stato una costante anche in questi giorni di avvicinamento al mondiale.
Un giornalista danese della televisione TV 2 è stato costretto a interrompere la sua diretta, dopo che membri delle forze dell’ordine locali hanno aggredito la sua troupe, cercando di prendere il possesso della telecamera. Secondo alcune testimonianze il problema nasceva da una domanda dallo studio proprio sulla situazione dei diritti umani, questo mentre la Danimarca già non è ben vista dalle autorità locali. La federazione calcistica danese aveva infatti intenzione di indossare maglie di allentamento con la scritta “diritti umani per tutti”, e sempre la Danimarca peraltro avrà magliette da gara con lo sponsor tecnico oscurato, dato che l’azienda Hummel ha detto di voler prendere le distanze dalla sede della competizione. La FIFA, che non sta facendo niente per prendere le distanze da tutti i lati oscuri dei Mondiali in Qatar, ha però vietato “per motivi tecnici” ai calciatori danesi di indossare abbigliamento con messaggi umanitari.
Forse per mettere una pezza a questi scandali, il governo qatariota ha deciso di investire nel campo della propaganda. Negli ultimi giorni gruppi di tifosi delle diverse nazionali hanno sfilato per Doha con tamburi e bandiere, ma qualcuno ha notato che alcune di queste persone fossero molto simili tra loro, il che fa pensare possa trattarsi di figuranti. In altri casi si tratta invece di influencer marketing, con persone a cui viene pagato viaggio, vitto e alloggio in Qatar e che in cambio sono tenute a pubblicare online contenuti positivi sul paese, vigilando anche sul comportamento dei propri supporter connazionali e riportando alle autorità eventuali atteggiamenti offensivi verso le leggi locali.
Il cartello di benvenuto all’aeroporto di Doha contiene una lista infinita di cose che non si possono fare nel paese. Tra queste essere omosessuali. Si poteva pensare che le pressioni internazionali avrebbero portato a un ammorbidimento delle posizioni governative sul tema in occasione dei Mondiali. Non è stato così. Come sottolinea Amnesty International, negli scorsi mesi diverse persone omosessuali e transessuali sono state arrestate in luogo pubblico, e sottoposte all’obbligo di seguire terapie di conversione.
Se i Mondiali di calcio in Qatar saranno e sono già all’insegna della repressione, le autorità del paese si sono organizzate senza scrupoli per individuare e perseguire chi violerà le stringenti norme del paese durante la rassegna sportiva. E hanno chiesto una mano alle tecnologie di sorveglianza di massa. Come ha spiegato in un’intervista il capo degli aspetti tecnologici dell’evento, Niyas Abdulrahiman, il paese sarà disseminato di 15mila telecamere a riconoscimento facciale. Decine di tecnici si troveranno in una grossa sala video a osservare le centinaia di migliaia di persone che arriveranno in Qatar, tenendo sotto controllo gli stadi e le aree limitrofe, le metropolitane, i mezzi di trasporto di superficie, le strade e le vie urbane. “Finché non ci saranno danni alle proprietà o feriti, ci limiteremo solo a osservare”, ha detto Abdulrahiman, disegnando uno scenario da Grande Fratello. Sempre a proposito di privacy, il media norvegese NRK qualche settimana fa ha denunciato che a molti turisti in ingresso nel paese per i Mondiali di calcio viene chiesto di installare due app sul telefono cellulare, Ehteraz e Hayyam, che potrebbero consentire l’accesso in modo inappropriato ai dati personali. Amnesty International ha lanciato, insieme ad altre organizzazioni della società civile, la campagna “May Pride be Worldwide” con l’obiettivo di garantire i diritti delle persone senza discriminazione di orientamento sessuale o identità di genere. “Di fronte all’odio, alla repressione e alla violenza, mostriamo al mondo che rispondiamo con orgoglio”, ha affermato Mariela Belski, direttrice esecutiva di Amnesty International Argentina. Il Qatar è uno dei 68 paesi al mondo in cui l’omosessualità è punibile per legge.
Carlo Scovino
[1] Il wahhabismo è un movimento di riforma religiosa sviluppatosi alla metà del XVIII secolo in un’area desertica al centro della penisola arabica, socialmente, culturalmente ed economicamente poco sviluppata rispetto ai principali centri del mondo islamico dell’epoca. I suoi presupposti possono essere rinvenuti nell’onda lunga di un movimento di riforma religiosa partito dall’area indo-pacifica del mondo musulmano. Questo movimento predicava in generale un ritorno al testo coranico. Sebbene sia definito spesso come “arcaico”, “ultraconservatore”,“austero”, il wahhabismo è prima di tutto un movimento letteralista che ha predicato fin dalle sue origini un ritorno alle fonti coraniche attraverso l’eliminazione di ogni interpretazione del testo in quanto attributo di Allah, ed è l’interprete della più intransigente palingenesi islamica. I wahhabiti credono che tutti coloro che non praticano l’Islam secondo le modalità da essi indicate siano pagani e nemici dell’Islam. Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla letteratura specifica.
[2] È una strategia usata da stati o governi che sfruttano lo sport per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani nel proprio paese. Può avvenire tramite l’acquisto di squadre sportive, l’organizzazione di eventi o la sponsorizzazione degli stessi. Tramite queste operazioni di soft power, nel corso del tempo gli stati si sono dimostrati spesso capaci di proiettare all’esterno un’immagine più democratica, aperta e attenta ai diritti umani rispetto alla realtà. Praticata principalmente dalle monarchie del Golfo persico e anche da stati esterni all’area come l’Azerbaigian, la strategia dello sportwashing prende piede a cavallo tra lo scorso e l’attuale decennio. In quel periodo, sulle maglie di importanti squadre di calcio sono comparsi sponsor, magnati arabi hanno acquisito quote azionarie, diversi stadi hanno assunto denominazioni di aziende dell’area così come team di sport di gruppo come il ciclismo. Questa ingerenza è aumentata nel corso del tempo: gli stati del Golfo hanno iniziato infatti a ospitare e organizzare eventi sportivi internazionali, Sono molti i paesi che organizzano eventi sportivi per ripulire la propria coscienza, come il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti e lo stesso Qatar. Le ragioni principali di tali operazioni sono due: da una parte il grande potere economico che solitamente questi stati detengono per l’organizzazione di eventi così importanti, dall’altra l’idea, antica quanto diffusa, che “lo sport non deve mescolarsi con la politica”. Lo sportwashing ha poi un pubblico specifico: quello delle persone appassionate e tifose, non necessariamente sensibili e informate sulla questione, a volte persino infastidite dalle “interferenze” nella fruizione di uno spettacolo sportivo. A questo si aggiunge un giornalismo sportivo spesso miope, concentrato solamente sull’evento, perché parlare dei diritti umani “spetta alla redazione esteri”.
SITOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA
Moggia V., La Coppa del morto. Storia di un Mondiale che non dovrebbe esistere, UltraEdizioni, Roma, 2022
Noury R., Qatar 2022, I Mondiali dello sfruttamento, Infinito Edizioni, Formigine (MO), 2022
Scovino C., Sport e omofobia, Rogas Ed., Roma, 2022