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Da secoli, le persone sono costrette a lasciare i loro paesi di origine per sottrarsi alle guerre, ai conflitti e alle persecuzioni. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati afferma che almeno 100 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case solo negli ultimi dieci anni.
Queste persone hanno affrontato e continuano ad affrontare pericolosi e lunghi tragitti a piedi, o traversate via mare a bordo di imbarcazioni fatiscenti e sovraffollate, o ancora viaggi all’interno di camion o container, perché sono spesso considerate irregolari dalle norme del diritto internazionale. Nonostante ciò sono disposti a rischiare la propria vita alla ricerca di un futuro migliore per vivere in sicurezza e dignità, senza più essere vittime di crimini e gravi violazioni dei diritti umani. La maggior parte dei rifugiati si trova in Africa e in regioni come il Medio Oriente e l’Asia meridionale. Solo una minima parte di essi si trova in regioni industrializzate come il Nord America, l’Europa e l’Australia.
Nonostante i racconti dei migranti siano molto simili tra loro, ognuno porta con sé una storia unica e personale. Racconti pieni di sofferenze, dolore, fatica, false aspettative e frustrazioni. Vi sono alcuni gruppi più vulnerabili degli altri come le donne, i bambini, gli anziani e i disabili, sottoposti a molteplici violenze e discriminazioni basate sul sesso, sull’età, sullo status, sull’etnia o sulla religione. Vi è però un gruppo che molto spesso non viene menzionato e che soffre più degli altri. Si tratta della comunità LGBTI, esposta a persecuzioni e violenze riconducibili nella maggioranza dei casi alle ragioni dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Va da sé che considerando il campo profughi di Kakuma in Kenya, o quello di Cox’s Bazar in Bangladesh, o ancora quello di Lesbo in Grecia, una rifugiata lesbica di religione musulmana sarà molto più esposta di altre categorie ad abusi e discriminazioni. La donna sarà discriminata per il suo genere, per il suo orientamento sessuale, per la sua religione nonché per il suo status. Le diverse forme di violenza e discriminazione saranno esacerbate ove i diversi fattori interagiscano e si combinino.
Diverse sono le motivazioni alla base di questi comportamenti. Si va da quelle culturali, quando la condizione LGBTI è considerata alla stregua di una malattia, fino a quelle legali, laddove la condizione LGBTI è trattata addirittura come un reato, e si rischiano pene che vanno dalla pubblica lapidazione agli arresti arbitrari, al carcere a vita, per arrivare fino alla pena di morte.
Nessuno sa veramente quanti siano e dove siano i campi di rifugiati nel mondo, così come è difficile fare una stima esatta del numero delle persone LGBTI destinate a viverci. Il problema principale è la mancanza di protezione, infatti solo un numero esiguo di loro trova il coraggio di ammettere la propria identità. Molti hanno paura di essere esclusi o marginalizzati dal proprio nucleo familiare, dalla comunità di appartenenza nonché di subire ulteriori vessazioni. Altri ancora non hanno un accesso adeguato alle informazioni, talvolta dovuto anche alla barriera linguistica.
All’interno dei campi profughi, le persone LGBTI preferiscono spostarsi in gruppo e di giorno, anziché singolarmente e durante la sera, ciò per evitare aggressioni e violenze da parte di persone con sentimenti omofobi. Anche una semplice azione come l’utilizzo delle docce può trasformarsi in un’odissea ed essere fonte di preoccupazione, in quanto spesso non sono dotate della serratura e quindi il loro uso può esporle a violenze e abusi. Nel caso subiscano violenze, anche qualora gli venisse data la possibilità di denunciare l’accaduto, sarebbero le stesse autorità spesso mosse da tendenze omofobe e discriminatorie, a minimizzare i fatti e scoraggiare le vittime.
I report internazionali hanno evidenziato come nei campi profughi vi siano molti più casi di uomini omosessuali, anche se non mancano casi di lesbiche, persone bisessuali o transgender. La pandemia ha aggravato la condizione di isolamento sociale delle persone LGBTI, le quali dichiarano di provare sentimenti di paura e incertezza. Non si sentono sicure nemmeno negli spazi a loro dedicati talvolta all’interno del campo profughi, poiché spesso li ghettizzano e li rendono un bersaglio facile anziché proteggerli.
Il 17 maggio è una data importante, in quanto ricorre l’anniversario della decisione presa nel 1990 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di rimuovere l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Per questo motivo dal 2004 il 17 maggio è stata istituita la Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la Transfobia e la Bifobia.
Da sempre, la comunità LGBTI è soggetta a abusi, soprusi e discriminazioni di ogni genere ovunque nel mondo, sia nei paesi industrializzati che in quelli considerati in via di sviluppo. La battaglia per vedere affermati i diritti delle persone LGBTI è ancora lunga, anche se qualche passo in avanti è stato compiuto. Serve però un progetto di cooperazione tra gli Stati sia per l’apertura di rotte legali e viaggi sicuri per tutti i migranti e i rifugiati, sia per delineare delle linee guida comuni di difesa e tutela delle persone LGBTI.
Francesca Braga