Myanmar, 2015-2020. La dittatura militare che per più di cinquant’anni ha esercitato il potere assoluto nel paese facendolo precipitare nella miseria sembra destinata a diventare un brutto ricordo. Aung San Suu Kyi e il suo governo stanno lentamente e difficoltosamente costruendo uno stato democratico moderno. Il Myanmar è aperto agli investitori e ai turisti stranieri, gli esuli politici e i cittadini comuni sono tornati a casa e, fra loro, anche il monaco buddhista Ashin Sopaka.
Dopo un lungo esilio in Germania, è rientrato a Monywa, il suo villaggio natale, nella regione di Sagaing, a nord dell’antica capitale Mandalay. Vuole mettere a frutto l’esperienza europea, per guidare il suo piccolo popolo sulla via della modernizzazione. Ai vecchi amici occidentali chiede di collaborare. Sono invitata anch’io, posso rendermi utile con due cose che so far bene: cucire a macchina e insegnare l’inglese ai bambini. Purtroppo rimando la mia visita… troppo a lungo. Il colpo di stato militare dell’1 febbraio 2021 spazza via ogni progetto di democrazia e sviluppo. A Monywa non si cuce e non si coltiva più come in tempo di pace. Molti dei suoi abitanti sono scappati nelle campagne insieme al loro leader, che ora si è smonacato e si chiama Bo Than. A fine febbraio sono riuscita a intervistarlo per telefono.
Perché vi nascondete? Il nostro villaggio ha abbracciato da subito la causa della disobbedienza civile contro la presa del potere con la forza del generale Min Aung Hlaing. Abbiamo interrotto ogni rapporto con le istituzioni. A un mese dal golpe i militari ci hanno attaccati per arrestarmi e hanno ucciso due contadini. Io e pochi altri viviamo alla macchia da allora. Il mese dopo e quello dopo ancora i soldati sono tornati e hanno saccheggiato tutto quello che trovavano. A quel punto sono fuggiti in molti e insieme ci siamo organizzati per continuare in clandestinità le nostre attività comunitarie, scuola compresa. Abbiamo messo insieme un gruppo di volontari che pattugliano tutta la zona e avvertono gli abitanti quando è il momento di lasciare le loro case. Lo scorso autunno l’esercito ha assalito il villaggio sparando alla cieca dagli elicotteri e pochi giorni fa l’ha invaso rubando, uccidendo e incendiando. Una mia cugina disabile di 30 anni, che non aveva voluto andarsene, è stata violentata e ammazzata prima che la casa dove abitava con i miei zii fosse data alle fiamme.
Non temete di essere attaccati anche nella foresta? Vigiliamo giorno e notte, pronti a difenderci, se necessario. Ma sappiamo che i militari attaccano soprattutto i centri urbani per rubare e distruggere.
La resistenza di Monywa è un caso isolato? No, dei 168 villaggi della contea solo uno si è piegato alla volontà del dittatore.
Il clero vi sostiene? I singoli monaci, specie i giovani, disapprovano la giunta. Ma i vertici l’appoggiano in cambio di tanto denaro. I 5 generali a capo del paese possiedono insieme 11 miliardi di dollari. Non fanno certo fatica a regalare alla chiesa uno o due milioni l’anno. È anche per questo che ho lasciato la tonaca. Non mi manca la vita religiosa, amo la libertà, amo il mio popolo e sono felice di lottare perché anche qui vinca la democrazia.