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Il Primo maggio è la Festa del Lavoro. Questa celebrazione ha, in realtà, una lunga storia. L’idea nacque in Francia il 20 luglio 1889, quando alcuni partiti proclamarono una grande manifestazione per ridurre la giornata lavorativa a otto ore. Ancora prima, nel 1855 in Australia, era stato coniato il motto “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”, uno slogan condiviso dai movimenti dei lavoratori di tutto il mondo che fu la scintilla per le rivendicazioni sindacali e la ricerca di un giorno, il Primo maggio, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per affermare i propri diritti.
Ma perché proprio quella data? Fu una scelta simbolica, per ricordare il 1° maggio 1886, quando fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a otto ore. La protesta durò tre giorni e culminò, il 4 maggio, col massacro di piazza Haymarket a Chicago, quando uno sconosciuto lanciò una bomba su un gruppo di poliziotti uccidendone sette, insieme a quattro civili. Quella manifestazione divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai di tutto il continente che, in quegli anni, lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. A Parigi, il primo maggio del 1890, ci fu la prima manifestazione internazionale, dove si registrò un’altissima adesione. Da quel momento, la data divenne festa nazionale in molti Paesi, tranne che negli Stati Uniti, dove il Labor Day (Festa del Lavoro) si festeggia il primo lunedì di settembre.
Il Primo maggio in Italia
In molti Paesi d’Europa la festività del Primo maggio fu adottata nel 1889, in Italia due anni dopo. Anche nel nostro Paese, però, questa festività ha visto un cammino complesso. In epoca fascista, per esempio, tra il 1924 e il 1944 la Festa del Lavoro fu anticipata al 21 aprile in coincidenza con il Natale di Roma. Nel 1947 tornò a essere festeggiata il Primo maggio e proprio quell’anno, a Portella della Ginestra, in Sicilia, durante la manifestazione furono uccise 11 persone in una sparatoria organizzata dalla banda del mafioso Salvatore Giuliano. Dal 1990 la Festa del Lavoro viene festeggiata con un concertone a Roma, una maratona musicale con importanti cantanti. Questo evento musicale è l’occasione per tante persone di ritrovarsi ascoltando buona musica e condividendo i valori dei lavoratori di ieri e di oggi, per non dimenticare che bisogna sempre battersi per i propri diritti e anche per quelli di chi ha meno voce.
Il Primo maggio, dunque, va commemorato per non dimenticare tutte quelle persone che hanno lottato per ottenere condizioni di lavoro e di vita umane per tutti e per difendere il proprio diritto al lavoro. L’art. 4 della Costituzione italiana afferma: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
L’art. 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma:
“1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.”
Lavori non retribuiti, lavori sottopagati, lavori part-time, contratti a tempo determinato, terzo settore e disoccupazione. Queste parole, ma non solo, fanno diretto riferimento alle lavoratrici e ai lavoratori di tutto il mondo. Il World Economic Forum, con il Global Gender Gap Report 2021, ha reso noto che per ottenere la parità di genere in tutto il mondo si dovranno ancora attendere oltre 135 anni. La parità di genere, nello specifico in ambito lavorativo, viene tipicamente ritenuta come una questione femminile, mentre in realtà interessa l’intera collettività. L’argomento è ben tematizzato da molti/e ricercatori/trici che lo inquadrano sotto la lente dell’approccio intersezionale.
Gli Stati ad alto reddito in collusione con i giganti aziendali hanno ingannato le persone con slogan vuoti e false promesse su un’equa ripresa dalla pandemia da Covid-19, in quello che è risultato uno dei più grandi tradimenti dei nostri tempi. È quanto ha dichiarato Amnesty International in occasione del lancio della sua analisi annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Il Rapporto 2021-2022 (pubblicato in Italia da Infinito edizioni) denuncia che questi Stati, insieme ai colossi aziendali, hanno acuito la disuguaglianza globale e ne individua le cause nella nociva avidità aziendale e nel brutale egoismo nazionale, così come nell’abbandono della sanità e di altre strutture pubbliche da parte dei governi.
“Il 2021 avrebbe dovuto essere un anno di ripresa e recupero. Invece, è diventato l’incubatrice di una più profonda disuguaglianza e di una maggiore instabilità, caustiche eredità per gli anni a venire”, ha dichiarato Agnès Callamard, Segretaria Generale di Amnesty International. La discriminazione è uno dei temi chiave della povertà. Le persone appartenenti a particolari gruppi sociali, tra cui le popolazioni native, i gruppi etnici, religiosi o le minoranze linguistiche, la comunità LGBT+, i migranti ecc. subiscono ancora significative discriminazioni. Il sistema internazionale deve aiutare a proteggere i diritti di tutti e di tutte laddove i governi falliscono nell’adempiere ai loro doveri.
La crescita in molti Paesi non migliora la situazione dei gruppi emarginati e quindi un semplice incremento di reddito non è sufficiente; la discriminazione e la disuguaglianza devono essere affrontate. Nonostante alcuni progressi in ambito economico e sociale, le vite di molti/e lavoratori/trici sono migliorate di poco: gli Stati e le organizzazioni internazionali devono lavorare più duramente per difendere i loro diritti nella pratica, con una forte volontà politica volta ad assicurare l’uguaglianza.
Amnesty International vuole rendere i diritti umani una realtà per tutt*: una vita libera dalla violenza è un diritto umano fondamentale. Nel 2001 Amnesty International ha riformulato il mandato dell’organizzazione, includendo la difesa dei diritti economici, sociali e culturali (DESC), con l’obiettivo di incorporarli nelle sue attività di ricerca, mobilitazione e nelle campagne. L’organizzazione è arrivata a questo cambiamento a conclusione di un lungo percorso di studio sull’interdipendenza e l’intersezionalità dei diritti, nell’ambito del quale si è ampiamente soffermata sui diritti relativi alle condizioni necessarie per soddisfare i bisogni fondamentali di ogni essere umano, tra cui lavoro, salute e sicurezza sociale, alimentazione, alloggio, istruzione, tutela sindacale.
L’Italia ha ratificato vari trattati internazionali e regionali sui diritti umani che la impegnano a rispettare, proteggere e garantire questi diritti umani fondamentali, in particolare la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (CDESC), la Convenzione Europea per i Diritti Umani (CEDU) e la Carta Sociale Europea. Amnesty International promuove la tutela dei diritti economici, sociali e culturali, riportandoli nelle aree di lavoro già esistenti, sulla base del principio di interdipendenza, secondo il quale tutti i diritti umani, che siano civili, politici, sociali economici o culturali, sono strettamente collegati tra loro. Questo significa che ciascun diritto ha un impatto su ogni altro diritto e che un diritto non può essere garantito se non è assicurato il godimento degli altri diritti.
Il Direttore Generale Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) Guy Ryder ha dichiarato: “Uniamo i nostri sforzi a quelli dell’intera comunità internazionale per garantire che i diritti delle donne, degli uomini, delle ragazze e dei ragazzi vengano rispettati dappertutto. Prendiamo l’impegno di agire nel mondo del lavoro per rispondere all’appello della campagna I nostri diritti. Le nostre libertà. Sempre.” Il mandato dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro include la promozione dell’uguaglianza e della non-discriminazione nel mondo del lavoro.
Discriminazioni e comunità LGBT+
I lavoratori LGBT+ (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) hanno il diritto a non essere discriminati sul lavoro. Inoltre, diventa sempre più evidente che promuovere la diversità può portare vantaggi alle imprese. Come ogni forma di comportamento discriminatorio, il pregiudizio in funzione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere può essere un ostacolo al reclutamento o alla promozione del candidato più qualificato per un lavoro. Nell’era della globalizzazione e con i mercati che si estendono oltre ogni frontiera, la diversità fra i lavoratori può portare nuove idee e nuovi modi di fare le cose a vantaggio dell’innovazione e della redditività.
Il lavoro è un aspetto cruciale nella vita delle persone: prima di tutto è il mezzo con cui si percepisce il reddito necessario per vivere, ma è anche un modo di esprimere le proprie competenze e i propri saperi, uno strumento di trasformazione della realtà, un luogo di costruzione di relazioni significative e uno strumento di espressione identitaria. Il lavoro, però, può essere anche un luogo di discriminazioni che privano gli individui dei loro diritti e peggiorano la qualità della loro vita. Si può trattare di discriminazioni legate alla disabilità, all’età, alla provenienza culturale, alla religione e alle convinzioni personali, ma anche al genere e all’orientamento sessuale. O, ancora peggio, all’intersezione di queste diverse dimensioni.
Se un datore di lavoro decide di non assumere una persona – competente e qualificata rispetto alla posizione lavorativa per la quale si candida – poiché questa persona è lesbica, gay o trans si parla di discriminazione diretta, ovvero di un trattamento differenziato e sfavorevole rispetto a quello che ha, ha avuto o avrebbe una persona eterosessuale in una situazione analoga. Se in un’azienda alcuni avanzamenti di carriera fossero concessi solo a lavoratori e lavoratrici sposati/e e le persone gay, transgender e lesbiche non potessero accedere a questo avanzamento poiché non possono sposarsi, allora ci troveremmo di fronte a discriminazione indiretta, ovvero una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o comportamento apparentemente neutri che possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone non eterosessuali.
Le persone transgender, a causa dell’elevata stigmatizzazione sociale di cui sono oggetto, sono più spesso discriminate nell’accesso stesso al lavoro tanto che in questi casi è più corretto parlare di esclusione dal mercato del lavoro. La consapevolezza della presenza di discriminazioni nei confronti delle persone LGBT+ ha dato il via, a partire dagli anni 2000, a una serie di interventi a livello europeo e nazionale per contrastarle e promuovere una reale tutela delle differenze sui luoghi di lavoro. A livello normativo, l’Italia ha recepito con il Decreto legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 (modificato dalla Legge n. 101 del 6 giugno 2008 e dal Decreto legislativo n. 150 del 1 settembre 2011), la Direttiva 2000/78/CE, istituendo il principio di parità di trattamento anche in merito all’orientamento sessuale. Il principio di parità di trattamento si applica a tutte le persone, sia nel settore pubblico che privato, nelle seguenti aree:
a) accesso all’occupazione e al lavoro sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; b) occupazione e condizioni di lavoro compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento; c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affiliazione e attività nell’ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali.
Sull’identità di genere non esiste nell’ordinamento italiano una specifica forma di tutela, ma la Corte di giustizia della Comunità europea con la Sentenza C-13/94 del 30 aprile 1996, recentemente richiamata nella Direttiva 2006/54/CE, ha ritenuto che il principio della parità di trattamento fra uomini e donne vada applicato anche alle discriminazioni derivanti da un cambiamento di sesso. Istat e Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), nella rilevazione condotta nel 2020-2021 sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+, ha evidenziato che sono oltre 20 mila, pari al 95,2% del totale, le persone unite civilmente che vivono in Italia e dichiarano un orientamento omosessuale o bisessuale. Per il restante 4,8%, lo 0,2% ha dichiarato un orientamento asessuale, l’1,3% un altro orientamento, la quota restante ha preferito non rispondere.
Tra quanti dichiarano un orientamento omosessuale o bisessuale e sono occupati o ex-occupati, il 26% dichiara che il proprio orientamento ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati (carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione). La stragrande maggioranza delle persone omosessuali o bisessuali ha dichiarato che il proprio orientamento sessuale è o era noto almeno a una parte delle persone del proprio ambiente lavorativo (92,5%), con un’incidenza minore tra le persone bisessuali (l’86,2%).
Tuttavia, il 40,3% riferisce, in relazione all’attuale (per gli occupati) o ultimo lavoro svolto (per gli ex-occupati), di aver evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale (41,5% tra le donne, 39,7% tra gli uomini). Una persona su cinque afferma di aver evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero per non rischiare di rivelare il proprio orientamento sessuale.
Circa sei persone su dieci hanno sperimentato almeno una micro-aggressione, tra quelle rilevate, nell’attuale (per gli occupati) o ultimo lavoro svolto (per gli ex-occupati). Per micro-aggressione si intendono brevi interscambi ripetuti che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, insulti sottili diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio. La più diffusa è “aver sentito qualcuno definire una persona come frocio o usare in modo dispregiativo le espressioni lesbica, gay o simili”. Relativamente alle discriminazioni subite e ascrivibili a una pluralità di caratteristiche (ad es. origini straniere, condizione di salute, convinzioni religiose o idee politiche, genere, orientamento sessuale ecc.), una persona su tre, tra le persone omosessuali e bisessuali, ha dichiarato di aver subito almeno un evento di discriminazione mentre cercava lavoro. Circa una persona su cinque ha affermato di aver vissuto almeno un evento di clima ostile o aggressione nel proprio ambiente di lavoro. Con riferimento ai soli dipendenti o ex-dipendenti, il 34,5% riferisce di aver subito almeno un evento di discriminazione, tra quelli rilevati, durante lo svolgimento del proprio lavoro.
Passando ad altri ambiti di vita il 38,2% ha dichiarato di aver subito, per motivi legati al proprio orientamento sessuale, almeno un episodio di discriminazione in altri contesti di vita (ricerca casa, rapporti di vicinato, fruizione servizi sociosanitari, uffici pubblici, mezzi di trasporto negozi o altri locali). Quasi una persona omosessuale o bisessuale su due (46,9%) dichiara ad esempio di aver subito almeno un evento di discriminazione a scuola/università. Oltre il 68,2% ha dichiarato che è capitato di evitare di tenere per mano in pubblico un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato. Il 52,7% ha evitato di esprimere il proprio orientamento sessuale per paura di essere aggredito, minacciato o molestato. Con riferimento agli ultimi tre anni, l’incidenza di chi ha affermato di aver subito minacce per motivi legati all’orientamento sessuale, escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, è pari al 3,9%; le aggressioni di tipo violento vengono segnalate invece dal 3,1%. Le offese legate all’orientamento sessuale ricevute via web sono riportate dal 13% delle persone omosessuali e bisessuali.
“Per garantire che il diritto alla non discriminazione nel mondo del lavoro per le persone LGBT+ sia esigibile è necessario rafforzare la legislazione e la sua applicazione, le politiche educative, del lavoro e di protezione sociale, come pure la contrattazione collettiva di genere. Le misure affermative e le politiche aziendali sulla diversità e l’inclusione, includendovi l’azione delle relazioni industriali per prevenire la violenza e le molestie di genere nel mondo del lavoro, possono contribuire a realizzare più eguaglianza di genere nel mondo del lavoro”.
Questo ha affermato il Direttore dell’ILO per l’Italia e San Marino, Gianni Rosas. Numerosi Paesi hanno fatto grandi progressi riguardo a queste libertà e alla protezione dei diritti, ma la strada è ancora lunga per garantire in tutto il mondo il rispetto dei principi contenuti in queste libertà. L’ILO continua a sottolineare il collegamento fondamentale che esiste tra diritti umani, diritti del lavoro effettuato in condizioni di libertà, di equità, di sicurezza e di dignità umana.
Conclusioni
L’Agenda di sviluppo sostenibile 2030 delle Nazioni Unite – un quadro mondiale ambizioso fortemente ancorato ai diritti umani – offre un’opportunità di mobilitare e di rinnovare i nostri sforzi per fare del rispetto di questi diritti una realtà per tutti. L’Agenda 2030 ha lanciato il messaggio forte che senza il rispetto universale dei diritti umani non c’è sviluppo sostenibile. Amnesty International è un’organizzazione non governativa fondata nel 1961, presente in oltre 150 Paesi e territori con 2,2 milioni di soci e sostenitori (80.000 in Italia). Attraverso campagne globali e altre attività, Amnesty International si batte per un mondo in cui ogni persona goda di tutti i diritti umani sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e da altri standard internazionali sui diritti umani. Amnesty International è indipendente da governi, ideologie politiche, interessi economici o fedi religiose ed è finanziata essenzialmente dai propri soci e dalle donazioni del pubblico.
Carlo Scovino
Fonti
https://www.istat.it/it/archivio/268470
https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2003;216
www.arcigay.it
http://www.portalenazionalelgbt.it/bancadeidati/schede/io-sono-io-lavoro-prima-indagine-italiana-sul-lavoro-e-le-persone-lesbiche-gay-bisessuali-e-transgendertransessuali.html
Amnesty International, Rapporto 2022-2023, Infinito edizioni, Formigine (MO)