La Cambogia, stato nel Sud-Est asiatico, si definisce il Regno delle Meraviglie. Forse apparentemente è proprio così. Da un lato, vi sono i paesaggi stupendi, la natura incontaminata e i templi antichi di Angkor Wat. Dall’altro lato è però un Paese ancorato alle sue tradizioni millenarie e ricco di contraddizioni socio-culturali.
In questo contesto, le diseguaglianze di genere sono molto radicate e profonde. Sin dai tempi del regime dei Khmer Rossi (1975-1979), le donne erano vittime di stupri di massa e del programma statale dei matrimoni forzati. La maggior parte delle donne venivano date in sposa a uomini che non avevano mai incontrato fino ad allora. Questo programma è stato utilizzato come strumento di controllo da parte del regime, con lo scopo di far nascere e controllare la nuova generazione di cambogiani, nonché raddoppiare la popolazione in breve tempo. Le coppie, e la donna in particolare, avevano il fine ultimo della procreazione e coloro che si rifiutavano di avere rapporti con il coniuge (sconosciuto) venivano spesso punite con la violenza e con lo stupro.
Le donne, ricoprendo una posizione marginale nella società, da sempre hanno avuto un diverso accesso all’istruzione e al credito rispetto agli uomini, in quanto unici detentori del potere decisionale. Solo negli ultimi anni, grazie soprattutto al maggior accesso all’istruzione, alla conseguente parziale eliminazione delle Chbab Srey (le regole per diventare una “perfetta donna cambogiana”) dagli insegnamenti scolastici, all’evoluzione della tecnologia, alla diffusione dell’uso dei social media, e al turismo di massa, l’uguaglianza di genere si sta pian piano raggiungendo.
Tuttavia, anche se in misura minore rispetto al passato, le donne continuano a essere le vittime designate di diverse forme di discriminazioni, abusi e reati quali, ad esempio, matrimoni forzati e precoci, violenze sessuali, stupri e traffico di esseri umani.
Per molto tempo, le donne cambogiane non hanno parlato delle violenze subite, considerandole un argomento tabù. In questa società ancora fortemente patriarcale, le donne non sempre hanno piena coscienza e conoscenza che quanto è accaduto sia in realtà etichettabile come “reato” o “discriminazione”. In secondo luogo, vogliono evitare una seconda “stigmatizzazione” da parte delle autorità competenti, ruoli ricoperti nella maggior parte dei casi da uomini. Le autorità additano le vittime come le vere e uniche responsabili degli abusi subiti, e spesso consigliano loro, o alle rispettive famiglie, di chiedere un risarcimento o ristoro in denaro in cambio del ritiro della denuncia.
Come prevenire la violenza?
Per prevenire la violenza è necessario porsi in una nuova prospettiva. Bisognerebbe iniziare a chiedersi perché cosi tanti uomini utilizzano la violenza verso le donne nella nostra società e nel mondo. Sarebbe necessario capire che ruolo ricoprano le istituzioni che non sono in grado di bloccare o diminuire il numero di uomini che continuano a commettere crimini a ritmo esponenziale. Il problema è sociale e non riguarda il solo perpetratore.
La violenza nei confronti delle donne può essere vista come una pandemia che affonda le sue radici nel patriarcato ed essendo un fenomeno trasversale a ceto, cultura ed età, può colpire qualsiasi donna. È necessario che siano previsti interventi a livello nazionale e locale di recupero degli uomini violenti, oltre all’organizzazione di programmi di training per uomini e donne, per il superamento degli stereotipi di genere.
Francesca Braga
Per approfondire la nostra campagna contro la violenza sessuale #IOLOCHIEDO