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L’ 11 marzo 2020, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, in virtù dei numeri registrati sulla diffusione del nuovo coronavirus SARS-CoV-2 – a quel momento più di 118mila casi in 114 paesi – ha dichiarato il passaggio dallo stato di epidemia a quello di pandemia. La dichiarazione dello stato di pandemia ha costretto gli individui a cambiare, temporaneamente, le loro abitudini e ha portato a una limitazione della libertà di ciascuno, richiedendo di stare a casa, di uscire solo per vere e comprovate necessità, di limitare i contatti ravvicinati e di non incontrarsi in gruppo, con lo scopo di ridurre la diffusione del contagio. Nei giorni dell’emergenza, del primo lockdown, delle migliaia di morti e di una condizione di paura e incertezza generalizzata sembrava che l’umanità intera sarebbe stata spazzata via.
Alcuni dei provvedimenti presi per limitare la diffusione del contagio hanno avuto un forte impatto su alcuni servizi socio-sanitari-assistenziali e culturali, alterando le modalità e le opportunità di accesso a essi. La chiusura delle scuole di ciascun ordine e grado e delle università, l’interruzione dei servizi per persone senza fissa dimora, lo sbarramento delle porte del sistema di accoglienza, la mancata attuazione di forme di tutela specifiche per le persone con disabilità sono solo alcuni esempi. I servizi sono stati costretti a ripensarsi in altre vesti e secondo nuove modalità metodologiche mentre il lockdown rallentava tutte le attività socio-sanitarie-assistenziali non connesse alla cura di pazienti affetti da Covid-19.
Tuttavia, il dovere di far fronte alla crisi di salute pubblica, tenendo conto allo stesso tempo degli effetti sull’economia e sulle persone più vulnerabili, non è semplice: è un compito che può aumentare la disuguaglianza sociale e minacciare i diritti umani. Gli Stati hanno il dovere di prevenire, curare e controllare le pandemie come il Covid-19, al fine di garantire il diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale (art. 12, Convenzione internazionale sui diritti economici sociali e culturali).
Dopo aver dichiarato l’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale, l’Oms ha pubblicato delle raccomandazioni temporanee per impedire l’ulteriore trasmissione del nuovo coronavirus e mitigare l’impatto della pandemia in tutti i paesi. Le misure sanitarie che gli Stati decidono di adottare devono garantire il rispetto dei seguenti criteri:
Una risposta lecita e morale all’evoluzione della pandemia di Covid-19 richiede il raggiungimento di un delicato equilibrio tra l’adozione di azioni sufficienti per rispettare, proteggere e soddisfare il diritto alla salute e la riduzione al minimo di interferenze con altri diritti umani.
L’attuale pandemia richiede drastiche misure sanitarie per salvare vite umane, tuttavia è importante tener conto dei criteri legali per limitare o andare in deroga ai diritti umani al fine di evitare misure arbitrarie, eccessive o sproporzionate. Per scopi specifici, inclusa la protezione della salute pubblica, il diritto internazionale prevede la possibilità di limitare la maggior parte dei diritti umani. Queste cosiddette “limitazioni ordinarie” devono essere determinate dalla legge, essere strettamente necessarie e proporzionate all’ottenimento di un obiettivo legittimo. Le deroghe, che sospendono temporaneamente il godimento di determinati diritti, possono essere giustificate solo in situazioni di pubblica emergenza che minaccino la vita della nazione. Esse devono essere rigorosamente necessarie in relazione alle esigenze determinate dalla situazione e gli Stati devono seguire le procedure di notifica espresse nei trattati internazionali.
Allo scopo di contenere la diffusione del coronavirus, in tutto il mondo stiamo sperimentando gli effetti di drastiche limitazioni e in alcuni Stati – tra i quali si citano Armenia, Estonia, Georgia, Lettonia, Moldavia e Romania – di deroghe a molti diritti umani, come: la libertà personale, la libertà di movimento, il diritto a riunirsi, il diritto all’istruzione e il diritto al lavoro. Le domande piuttosto tecniche riguardo alla proporzionalità delle limitazioni e la necessità delle deroghe richiederebbero approfondimenti giuridici per ciascun caso specifico. È chiaro, tuttavia, che dobbiamo essere meglio preparati per affrontare le emergenze, fornendo soluzioni alternative che garantiscano il godimento di tutti i diritti umani nella maggior misura possibile. I diritti umani sono interdipendenti tra loro: massimizzare l’istruzione, le condizioni del lavoro e la protezione delle persone vulnerabili sarebbe un atto reciprocamente vantaggioso anche per la salute pubblica.
Molto dibattuto è stato il tema riguardante il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione italiana, il quale stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. A essere tutelato, dunque, non è unicamente il cittadino ma l’individuo. Ciò implica che tutti siamo tutelati e dobbiamo tutelare tutti. L’accesso a questo diritto fondamentale è stato ostacolato dalla revisione delle modalità di fruizione di tanti servizi essenziali non sempre sufficientemente rapida o chiara nelle indicazioni fornite. Soprattutto, come spesso accade, i gruppi più marginalizzati sono anche quelli che più a fatica riescono a usufruire del servizio sanitario e a vedere garantiti, per la propria persona, quegli standard igienico-sanitari essenziali la cui sussistenza è cruciale in caso di pandemie, per poter salvaguardare la salute del singolo e quella pubblica.
La marginalità sociale ci conduce a un altro grande tema: quello dello svantaggio socio-economico. Le sacche di povertà già presenti si sono allargate arrivando a includere persone che fino a pochi mesi fa non avevano bisogno di chiedere aiuto. Si è allargata la forbice della diseguaglianza e il bacino di individui vulnerabili si è esteso, ampliando la platea di coloro che sono più esposti al rischio della discriminazione che si è realizzata attraverso la difficoltà o l’impossibilità di accesso ai servizi socio-sanitari.
Tra i casi più emblematici, raccolti anche da Amnesty International, l’esclusione di alcune fasce di popolazione dall’assistenza alimentare offerta dalle amministrazioni cittadine, la mancata disposizione di risposte rapide – anche solo temporanee – all’emergenza abitativa per far fronte ai rischi sanitari posti da determinati contesti residenziali, la sospensione dell’accesso dei centri diurni per le persone senza dimora, la chiusura delle porte dei centri di accoglienza anche in entrata e la previsione della quarantena a bordo dei natanti per i rifugiati e i migranti soccorsi nel Mediterraneo.
Amnesty International ha raccolto anche dati riguardanti gli operatori sanitari che hanno contratto il Covid-19: durante la prima ondata di questa pandemia (da marzo 2020 a ottobre 2020) sono stati più di 230.000 gli operatori sanitari che hanno contratto il virus e oltre 7000 quelli che sono morti, di cui 241 in Italia. Inoltre, in almeno 31 paesi gli operatori sanitari hanno protestato pubblicamente per le condizioni di lavoro inappropriate a fronteggiare l’emergenza in totale sicurezza.
Parlando di salute, come afferma l’Organizzazione mondiale della sanità, non ci riferiamo soltanto alla salute fisica ma al complessivo stato di benessere fisico, psicologico e sociale. In tema di benessere psico-emotivo, la situazione di lockdown ha messo in difficoltà in modo preponderante le famiglie di soggetti con disabilità a causa della mancanza di un supporto educativo diretto e della frustrazione negativa che ne deriva.
Numerosi studi hanno rilevato che l’isolamento prolungato rappresenta un fattore di rischio per il declino funzionale e per lo sviluppo di malattie e disturbi, sia fisici che mentali, soprattutto depressione, ansia e ideazione suicidaria. Anche quando non determina gravi problemi di salute, l’isolamento tende comunque ad alimentare sentimenti negativi, come tristezza, insofferenza, irritabilità o rabbia, e comportamenti-problema, come esacerbazione delle stereotipie, aggressività o opposizione. Alcuni comportamenti possono aggravare i suddetti rischi da isolamento, come: non comunicare con gli altri utilizzando tutte le tecnologie disponibili; alterare i ritmi e le attività domestiche che invece sarebbe possibile mantenere invariate rispetto al periodo precedente l’isolamento; trascorrere molto tempo al computer, a guardare la televisione o a giocare ai videogiochi; evitare anche le poche e brevi uscite di casa ancora possibili; dormire troppo o dormire in orari diversi da quelli abituali; mangiare troppo o troppo poco (più raramente).
L’Oms ha definito la pandemia SARS-CoV-2 un’emergenza non prettamente sanitaria ma anche psichica, sulla scia di quanto espresso all’interno della Dichiarazione di Helsinki “Non c’è salute, senza salute mentale”. La Società italiana di psichiatria (Sip) ha previsto un aumento di trecentomila pazienti, tra coloro che soffrono di ansia post-traumatica per i lutti, le perdite, il danno economico e l’incertezza per il futuro e persone che svilupperanno disturbi psichici che le porterà a fare richiesta di aiuto ai servizi di salute mentale. Le posizioni di lavoro precarie e la mancanza di protezione sociale stanno intensificando gli effetti devastanti del coronavirus sui diritti umani. Alcune aziende sono state in grado di adattarsi allo smart working, ma altre sono state costrette a ridurre l’orario di lavoro o a licenziare personale. Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro, oltre 25 milioni di persone potrebbero diventare disoccupate, ma di queste solo una su cinque può contare su sussidi di disoccupazione.
Ciò evidenzia la fragilità dell’economia di mercato e i problemi che devono affrontare i lavoratori autonomi, chi ha contratti a zero ore e chi non può beneficiare delle indennità di malattia. Oltre a influire negativamente sulla salute e sul benessere degli individui, la mancanza di assicurazioni economiche rende anche più difficile l’applicazione delle misure di quarantena e di allontanamento sociale sviluppate in risposta alle pandemie. I governi hanno la responsabilità di ridurre al minimo il rischio di infortuni e malattie sul lavoro, ma nell’attuale pandemia molti non riescono a fornire agli operatori sanitari adeguati dispositivi di protezione e formazione per il controllo delle infezioni. In conformità con le normative sanitarie internazionali, al fine di prevenire, identificare e rispondere alle pandemie, vanno costruite e sostenute capacità resilienti a livello nazionale e globale.
Gli Stati devono fare accomodamenti speciali per garantire equa accessibilità ai servizi sanitari ai gruppi più vulnerabili della società: le disuguaglianze socio-economiche risultano accentuate durante le emergenze o i disastri. Di fronte alla pandemia attuale le persone in custodia e negli istituti di cura sono particolarmente a rischio perché vivono spesso in stretta vicinanza, il che consente al virus di diffondersi rapidamente. Stessa cosa dicasi per i campi profughi in cui bambini e famiglie vivono in tende sovraffollate in condizioni antigieniche e con scarso accesso alle strutture sanitarie.
Le Nazioni Unite hanno lanciato il piano di risposta umanitaria globale al Covid-19, chiedendo ai governi di sostenere – sia finanziariamente, sia politicamente – gli interventi globali per limitare la diffusione del nuovo coronavirus. Il Segretario generale dell’Onu, António Guterres ha affermato che “la solidarietà globale non è solo un imperativo morale, è nell’interesse di tutti”. Una mancanza di azione per proteggere i gruppi più vulnerabili da Covid-19 consentirà al virus di sopravvivere, mutare e continuare a circolare in tutto il mondo.
La Segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, ha pubblicato un toolkit destinato ai governi di tutta Europa sul rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto durante la crisi del Covid-19. Tale documento informativo è stato inviato recentemente a tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa.
“Il virus sta distruggendo un gran numero di vite umane e molto altro di tutto ciò che abbiamo di più caro. Non dobbiamo permettere che distrugga i nostri valori fondamentali e le nostre società libere”, ha dichiarato la Segretaria generale. “La principale sfida sociale, politica e giuridica che devono affrontare i nostri Stati membri sarà quella di dimostrare la loro capacità di reagire efficacemente a questa crisi, garantendo al contempo che le misure adottate non pregiudichino la nostra reale attenzione sul lungo periodo alla salvaguardia dei valori fondanti dell’Europa: rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto”, ha aggiunto.
Il toolkit è stato studiato per contribuire a garantire che le misure adottate dagli Stati membri nel corso dell’attuale crisi siano proporzionate alla minaccia rappresentata dalla diffusione del virus e siano limitate nel tempo.
Il documento verte su quattro aree principali:
Prime considerazioni finali
La lotta al contenimento del virus ha messo gli Stati di tutto il mondo in forte difficoltà in quanto chiamati a rispondere in poco tempo a una riorganizzazione non solo sanitaria ma anche economica, sociale e giuridica. La grave emergenza sanitaria ha dunque rimodellato temporaneamente gli ordinamenti dei vari Stati per garantire loro una pronta risposta e mitigare il danno causato dall’emergenza. La risposta comporta inevitabilmente una compressione dei diritti e della libertà dei cittadini, compressione giustificabile nei modi e nei limiti previsti dalle costituzioni e dalle norme derivanti dal diritto internazionale ed europeo.
Carlo Scovino
Bibliografia
Amnesty International, trimestrale del 4/10/2020
Organizzazione mondiale della sanità, www.salute.gov.it
S. Millesi, Non c’è salute senza salute mentale, www.vita.it, 4/2020
Yao H, Chen JH, Xu YF., Patients with mental health disorders in the COVID-19 epidemic, Lancet Psychiatry 2020.